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Conoscere e amare la Costituzione | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Conoscere e amare la Costituzione

Conoscere e amare la Costituzione


Intervento all'incontro promosso dall'Associazione Giovanni Paolo II
Polignano a Mare, 22/04/2013

Grazie per l'invito. Vedo con piacere una larga partecipazione di ragazzi delle scuole medie, accompagnati dai loro docenti. Ringrazio anche loro – ragazzi e docenti – e, anzi, approfitto della loro presenza per modificare parzialmente le riflessioni che avrei voluto proporre. Perché credo che sia giusto che a loro, ai più giovani,  vengano indirizzati gli sforzi formativi di noi adulti.
Il tema è intrigante. Non credo si possa affrontare senza provare a capire cosa sia una Costituzione e perché dovremmo provare a “conoscerla” ed addirittura “amarla”. Provo a farlo. Soprattutto offrendo ai ragazzi qualche chiave di lettura; agli adulti qualche spunto di riflessione.

Non capire cosa sia una Costituzione impedisce di capire cosa sia uno Stato. Non capire cosa sia uno Stato impedisce di comprendere a fondo il significato del principio di legalità, argomento che gli organizzatori di questo incontro si preoccupano di approfondire con le loro varie iniziative.

Prima di ogni cosa, allora, proviamo ad individuare la caratteristica fondamentale di una “costituzione”, ciò che la differenzia rispetto alle altre raccolte di regole, di norme. Perché l'idea di avere leggi scritte, destinate a regolare la vita di una società pur cambiando gli individui e trascorrendo il tempo, è antica. Ci sono precedenti storici importantissimi addirittura antecedenti alle raccolte di leggi dell'antica Roma. Invece, quella di una “costituzione” è un’idea più moderna. Il termine si riferisce ad un qualcosa di stabilito ed è sinonimo di “statuto”, che rappresenta l'idea di una struttura essenziale propria di un organismo. Quando parliamo di “costituzione” ci riferiamo alla costituzione di un organismo sociale per indicare in senso figurato la struttura essenziale dell’organismo; in senso giuridico per raccogliere i fondamenti di una organizzazione sociale e politica.

Così, mentre nelle varie civiltà umane le leggi scritte si rivolgono prima di tutti agli individui, ai soggetti, ai sudditi di coloro che esercitano l’autorità (re, principi, imperatori, magistrati, capi insomma comunque denominati) e sono espressione di quest’ultimi, stabilendo obblighi e sanzioni; le moderne costituzioni, invece, vengono scritte per fissare limiti al potere di chi comanda, per definire condizioni e modi in cui l’autorità deve essere esercitata, per fissare i diritti dei soggetti nei confronti dell’autorità, che non può legalmente violarli. La modernità deriva dalla circostanza – storica – che l'esigenza di limitare e specificare questi poteri risale ad un certo periodo storico, risalente circa a due secoli fa.
Il carattere della modernità è presente nella nostra Costituzione in maniera significativa. Il nostro è uno Stato giovane. Dovremmo provare a ricordare quale situazione avevamo, territorialmente, ancora agli inizi dell’800. Il primo Stato italiano nasce in realtà per espansione, per successive annessioni di territori, del Regno di Piemonte e di Sardegna.
La prima Costituzione è stata quella di quel regno, concessa dal re Carlo Alberto prima che si unificasse l’Italia: lo Statuto Albertino del 1848, che, quando venne proclamato il Regno d’Italia, ne divenne la Costituzione, rimasta poi inalterata per cento anni. Si tratta di una Costituzione tipica del periodo delle monarchie trasformatesi da assolute in costituzionali, con l’accoglimento dei principi liberali posti alla base del patto stipulato tra i due centri effettivi del potere: il monarca e la ristretta classe di cittadini (abbienti o istruiti) rappresentati in Parlamento.

Questa premessa serve a comprendere meglio di cosa si occupi una “costituzione”.
Per la verità, per capire di cosa la nostra Costituzione si occupi, basterebbe che tutti la leggessimo. Mi permetto di ritenere che non tutti i cittadini maggiorenni (ed ovviamente meno che mai i minorenni) lo abbiano fatto. Addirittura forse non lo hanno fatto molti di noi che ricoprono, a vario titolo, cariche politiche. Eppure il testo non è lungo. Appena 139 articoli, oltre a 18 disposizioni transitorie e finali. Né è di difficile lettura, anche per chi non sia abituato ad un linguaggio giuridico. È scritta in un italiano scorrevole, elegante, con un linguaggio che, in occasione del suo coordinamento finale, fu sottoposto per una revisione ad un gruppo di letterati. È scritta in un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti.

Ci sono vari modi per leggere la Costituzione.
Si può leggere la Costituzione attraverso il linguaggio della storia. Forse sarebbe il primo  interessante metodo per i più giovani. Perché la Costituzione riassume i tratti di una secolare evoluzione, in cui si condensano principi divenuti patrimonio tendenzialmente universale e permanente (diritti fondamentali di libertà e sociali, eguaglianza degli individui pur nella diversità di situazioni e funzioni, doveri di solidarietà, principio di legalità e garanzia...).
Si potrebbe insegnare la “storia” leggendo la Costituzione. Per esempio facendo riferimento ai rapporti tra Stato e Chiesta (art. 7, richiamo ai Patti Lateranensi); al nostro peculiare paesaggio, come all'eccezionale patrimonio storico e artistico plurisecolare (art. 9); all'esperienza tragica delle due guerre mondiali, soprattutto la seconda (art. 11); alla libertà di espressione delle proprie opinioni “politiche” (art. 16); alla esperienza, anch'essa tipica italiana, della emigrazione (artt. 16 e 35); ai rapporti tra scuola pubblica e privata, il cui dibattito non è assolutamente recente, ma richiama storie e conflitti antichi (art. 33). Sono solo alcuni esempi, che pure potrebbero fornire utili occasioni di approfondimento scolastico.

C'è un dato che deriva da tutto questo. La nostra Costituzione, la Costituzione Repubblicana, non disegna uno Stato del tutto nuovo: è lo Stato preesistente che sopravvive, pur profondamente rinnovato nelle sue basi.

Ovviamente si può leggere la Costituzione attraverso il linguaggio del diritto. Ma è quello che in questa sede mi interessa meno. Basterà ricordare come la Costituzione sia comunque anche un testo normativo. Contiene cioè prescrizioni, obblighi. Dice quello che devono fare alcuni soggetti. A quali criteri si devono informare le condotte dei diversi protagonisti.

Mi interessa, invece, segnalarvi un altro linguaggio utilizzabile nella lettura, il linguaggio della politica. La Costituzione è  un “prodotto” della politica ( proprio  quella che oggi vorremmo far fuori) intesa nel senso più alto: è uno strumento di cui le collettività civili si sono dotate per fondare e indirizzare le regole essenziali della loro convivenza.
Ma non si deve esagerare. Bisogna fuggire la tentazione di trarre dalla Costituzione indicazioni politiche contingenti. Il concetto di Costituzione non può essere (citando Bauman) “liquido”. La Costituzione è stabilire un terreno comune, stabilire limiti e paletti al cui interno possa svolgersi la pacifica competizione democratica, propria di una società dinamica e pluralista. Sarebbe sbagliatissimo invocare sempre la Costituzione a sostegno o a contrasto di specifiche scelte legislative o politiche. So bene che questo accade sempre più spesso. Ma si tratta di un errore grossolano. Sono sempre sospettoso, attento, prudente, quando si invoca la Costituzione a difesa di qualche posizione politica; da qualunque parte dello schieramento politico ciò avvenga.

Così, se dovessi definire con poche parola cosa sia e di cosa si occupi una “costituzione”, potrei limitarmi a dire che la Costituzione è la base del patto di convivenza nella società civile e politica italiana. Un patto, dunque, che da un canto crea un raccordo ed un equilibrio tra i poteri della nostra società; d'altro canto guida lo svolgimento della “politica”, cioè del sistema con il quale si producono scelte rilevanti per la società stessa.

Sempre più spesso uomini politici e commentatori chiedono regole. Per ogni situazione problematica si invoca un “garante”. Le norme della Costituzione sembrano ormai prive di efficacia. La verità è che le ragioni storiche che portarono all'approvazione della nostra Costituzione ne hanno da sempre costituito il suo limite. Ma  nonostante le retoriche ed i problemi di attuazione, quel testo a mio parere resta solido e solo una nuova assemblea costituente potrebbe produrre una revisione organica e completa dei nuovi equilibri tra i poteri dello Stato. Il dibattito sulla revisione di alcune parti importanti della Costituzione, soprattutto riguardanti l'organizzazione complessiva dello Stato, è molto complesso e va affrontato senza spinte demagogiche (purtroppo attualmente molto comuni). Non si tratta assolutamente di ridurre apparati, ma di cercare nuovi equilibri che – per l'appunto – la nostra storia ormai impone. La capacità di una classe politica si misura proprio nel saper leggere la storia, nelle sue diverse manifestazioni, adeguando le regole comuni alle mutate esigenze sociali.

Bisogna, poi, riflettere seriamente su un'altra questione: se quella che si chiama “transizione italiana”, espressione che alcuni riferiscono all'ultimo ventennio, non abbia in realtà origini molto più antiche e nasca da un vizio originario. Quello secondo cui – forse – la nascita dello Stato Italia non sia stata una forzatura in mancanza di solide fondamenta di una Nazione Italia. Ma si tratta di altra questione complessa e l'affido ai vostri pensieri. Anche per i profili conseguenti ed attinenti ad una possibile riforma dello Stato in senso federale.

In ogni modo, per quanto a noi competa guardare al futuro, l'attualità o meno di un testo costituzionale non si misura con il metro della società, che pure oggettivamente è cambiata. Occorre invece avere la capacità di segnare ciò che deve cambiare e ciò che deve restare. La nostra Costituzione ha oltre mezzo secolo. È tra le più longeve al mondo. Bisogna saperne fare tesoro anche per il nostro futuro. Soprattutto, dobbiamo ancora imparare a far tesoro dei  suoi cardini. Di tutta la parte relativa ai “principi fondamentali” e dei “diritti e doveri dei cittadini”. Se è vero che "la legalità si pratica non si predica", anche per la Costituzione deve valere il valore della testimonianza.
Suggerirei di partire provando ad ispirare le condotte personali di ciascuno di noi ad alcuni termini che riassumono i caratteri della nostra Costituzione e che – alla fine di questo incontro – affido anch'essi alla riflessione dei più adulti: equilibrio, democrazia (rappresentativa e diretta), garanzie, unità-autonomia. Proviamo a farne tesoro.
Infine, mi permetto di scherzare: proprio volendosi fare male, gli adulti possono proseguire la riflessione divertendosi con qualche lettura. Ve ne propongo cinque, semplici e “trasversali”, rispettando la par condicio: Giorgio REBUFFA, La Costituzione impossibile, Il Mulino, 1995 (un titolo che è tutto un programma); Giovanni SARTORI, Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino, 1996; Giuseppe VACCA, Per una nuova Costituente, Bompiani, 1996;  La Costituzione promessa, di vari autori, Rubettino, 2004 (raccolta di testi su iniziativa della Fondazione Magna Carta). E per concludere, in suo onore, visto quanto è stato maltrattato – a mio parere ingiustamente –  in questi giorni, Il patto che ci lega, di Giorgio NAPOLITANO, Il Mulino, 2009. In pochi hanno notato come oggi, in occasione del suo giuramento davanti al Parlamento in seduta comune, Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, ha pronunziato il suo discorso stando in piedi. Le Istituzioni si rispettano. Sempre. Anche modi e comportamenti sono importanti.

Concludo con un invito, sincero ed oltre lo scherzo che ho amabilmente proposto: studiamo, tutti. Per poter aiutare a studiare anche loro, i più giovani, i nostri “cittadini del futuro”.

http://www.youtube.com/watch?v=BumvKuquN7w