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Pinocchio e le storie di ordinaria ingiustizia. | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Pinocchio e le storie di ordinaria ingiustizia.

Pinocchio e le storie di ordinaria ingiustizia.


Confesso che, con buona probabilità a causa della mia ostinata ed irresponsabile ignoranza, contrariamente alla quasi totalità degli italiani non sono mai riuscito ad apprezzare particolarmente l’opera letteraria di Tomasi di Lampedusa. E lo stesso Autore mi è sempre stato abbastanza antipatico, lui ed il suo tutto deve cambiare perché tutto rimanga come prima.

Ho paura di dovermi ricredere dopo aver letto ancora una volta la versione integrale ed originale dell’opera più famosa del signor Carlo Lorenzini, meglio conosciuto come Carlo Collodi. Avevo letto tutto il Pinocchio già in precedenza, divertendomi un mondo; nell’estate del 1997 lo rilessi, pensando di poterlo leggere al più presto a mio figlio che stava per nascere. L’ho riletto ancora. Già l’ultima volta i miei ricordi della storiella del burattino mi portavano a ricordare di episodi in qualche modo collegati al tema della “giustizia”; ed anche quest’anno sono stato sfiorato, al mare, da un acceso dibattito su “giustizia”, “riforme istituzionali”, riforma del processo penale (e di quello civile), alternativamente ad apprezzamenti più o meno lusinghieri e/o volgari sul sindaco del luogo e sulla sporcizia della spiaggia (ma almeno in quel caso il sindaco non ha nessuna colpa, rispetto invece agli sporcaccioni maleducati). Così, ho ripreso il Pinocchio e, sfogliandolo, ho pensato che, effettivamente, quell’antipaticone su nominato non è che avesse, poi, tutti i torti, ché le cose nel corso degli anni non è che cambino molto. Anzi, per niente; o quasi.

Perché mai? Perché ben quattro episodi narrati nel Pinocchio inducono a riflessioni sulla “giustizia” e quel che è più singolare – forse più preoccupante – è che quegli episodi mi sono sembrati attualissimi oggi, in un sistema giudiziario che vuole dirsi moderno e civile, come nell’ottocento. O meglio: alcune disfunzioni ed abnormità (ove non si tratti addirittura di violazione dei diritti inviolabili della persona umana) sembrano proprie dell’ottocento come del duemila.

Non esagero. Né, in verità, sono in grado di affermare se anche l’Autore del Pinocchio esagerasse o invece ironizzasse su episodi derivati dalle cronache dell’epoca. Di certo alcuni temi, come quello dell’innocente che paga per il colpevole, appartengono ad un canovaccio tradizionale della commedia classica, prova evidente – però – che quelle situazioni riguardano anche la umana storia più antica. Ma se ciò, tutto sommato, potrebbe anche non suscitare emozioni o comportare riflessioni particolari, mi ha preoccupato, invece, pensare che tali situazioni possano essere proprie anche delle umane vicende contemporanee.

Divertitevi a ricordare con me quel che accadde al famoso burattino e vedrete come, infine, anche voi avrete di che riflettere.

* * *

Il primo episodio è immediatamente successivo alla costruzione del burattino da parte di Geppetto.

Non appena gli furono finite le gambe ed i piedi, Pinocchio cominciò a correre per la stanza “...finché, infilata la porta di casa, saltò sulla strada e si dette a scappare.” Il gran fracasso provocato dai piedi di legno e le urla di Geppetto fecero accorrere la gente. Ed ecco sulla scena un carabiniere, che attratto dallo schiamazzo “...si piantò coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada...” nel tentativo di agguantare il burattino, il quale tentò di passargli tra le gambe, ma venne acciuffato per il naso; quindi il carabiniere lo riconsegnò a Geppetto, che “...a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi...”, ma si avvide di non poterlo fare perché le orecchie ... non erano state scolpite. Così Geppetto si rivolse al burattino. Ed il seguito merita di essere trascritto per intero:

- Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i conti!-

Pinocchio, a questa antifona, si buttò per terra, e non volle più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capanello.

Chi ne diceva una, chi un’altra.

- Povero burattino! - dicevano alcuni - ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo picchierebbe quell’omaccio di Geppetto!...

E gli altri soggiungevano malignamente:

- Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno con i ragazzi! Se gli lasciano quel povero burattino fra le mani, è capacissimo di farlo a pezzi!...-

Insomma, tanto dissero e tanto fecero, che il carabiniere rimesse in libertà Pinocchio, e condusse in prigione quel pover’uomo di Geppetto. ...

* * *

Ancor più grottesca e – se vogliamo – più divertente (solo in quanto “storiella” per bambini!) è la scena dell’arresto di Pinocchio per essere stato derubato delle monete d’oro.

Ebbene, il burattino avvedutosi di essere stato derubato delle monete regalategli da Mangiafuoco da parte del Gatto e della Volpe, preso dalla disperazione corre in Tribunale “...per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.”

In Tribunale, al “giudice-scimmione” che lo ascolta, Pinocchio racconta per filo e per segno l’“iniqua frode” di cui è stato vittima; indica con nome e cognome e connotati i malandrini; conclude le sue richieste “chiedendo giustizia”.

Il Giudice “...lo ascoltò con molta benignità; prese vivissima parte al racconto: s’intenerì, si commosse; quindi sentenziò.

- Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque, e mettetelo subito in prigione -.”

Quindi i gendarmitappano la bocca al burattino “per evitare proteste” e lo conducono in prigione.

E non finisce qui!

Pinocchio rimane in prigione quattro mesi. Sino a quando il giovane Imperatore che regna quella città – che non può che chiamarsi “Acchiappa-citrulli” – dopo aver riportato una vittoria contro i suoi nemici ordina feste pubbliche e soprattutto concede la libertà per tutti i malandrini.

- Se escono di prigione gli altri - protesta Pinocchio - voglio uscire anch’io.

- Voi no - risponde il carceriere- perché Voi non siete del bel numero...

- Domando scusa -replicò Pinocchio- sono un malandrino anch’io.

- In questo caso avete mille ragioni - disse il carceriere. E lavatosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.

* * *

Le cronache quotidiane raccontano spesso di casi di indagini sommarie o di carcerazioni preventive abusate o sfornite di prove adeguate, tanti da poter scrivere un libro intero...

L’episodio del secondo arresto di Pinocchio costituisce un classico esempio di “istruzione sommaria”.

Alcuni compagni di Pinocchio, nel frattempo diventato scolaro-modello, lo inducono con l’inganno a marinare la scuola. Arrivati in spiaggia, tra i compagni e Pinocchio comincia un “gran combattimento”. Tra l’altro uno dei compagni prende un libro di Pinocchio, rilegato con copertina grossa e molto pesante, e lo scaglia contro la testa di Pinocchio; ma invece di cogliere il burattino coglie la testa di uno dei compagni, il quale diventa improvvisamente bianco e muore. Accade che mentre tutti gli altri ragazzi scappano spaventati, Pinocchio rimane lì e cerca di rianimare il morto. Ecco che arrivano due carabinieri, i quali lo interrogano:

- Che fai sdraiato per terra?

- Assisto questo mio compagno di scuola.

- Che gli è venuto male?

- Par di sì!

- Altro che male! - disse uno dei carabinieri- Questo ragazzo è stato ferito alla tempia: chi è che l’ha ferito?

- Io no - balbettò il burattino.

- Se non sei stato tu, chi è stato dunque che l’ha ferito?

- Io no - ripeté Pinocchio.

- E con che cosa è stato ferito?

- Con questo libro - E il burattino raccattò da terra il libro, mostrandolo al carabiniere.

- E questo libro di chi è?

- Mio.

- Basta così: non occorre altro. Rizzati subito e vien via con noi.

* * *

Nel Pinocchio ce né per tutti i gusti, anche per i fans di tangentopoli.

Come sicuramente ricorderete, Pinocchio tenta di rubare dell’uva ma rimane catturato da una tagliola. Per punizione il contadino proprietario dell’uva lo obbliga a far da cane da guardia alle sue galline, ché da poco era morto il suo cane. Durante la notte Pinocchio viene svegliato dalle faine, che propongono al burattino lo stesso “patto scellerato” che avevano con il precedente cane da guardia: “Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a visitare di notte questo pollaio, e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangiamo noi, e una la daremo a te, a condizione, si intende bene, che tu faccia finta di dormine e non ti venga mai l’estro di abbaiare e di svegliare il contadino.”.

Prassi, usi e consuetudini corruttive che si sprecano “anche” oggi, per niente affatto superate delle vicende giudiziarie degli ultimi anni.

Dunque, il mio dubbio: non sarà per caso che effettivamente tutto deve cambiare perché tutto rimanga come prima?

Come ho detto, lascio a voi la riflessione.

Ma vi racconto, ultima, un’altra storiella. Peccato che questa sia...una storia vera.

È già estate. Un benestante agricoltore, che dorme in un casa in prossimità dei suoi terreni agricoli, svegliatosi alle quattro del mattino per aprire i pozzi artesiani ed irrigare i campi, si avvede che ignoti gli hanno rubato un’auto vecchia e sgangherata, diesel, anno di costruzione 1982, chilometri percorsi 350.000 circa, parcheggiata aperta e con le chiavi inserite nel quadro (in ragione dell’evidente mancanza di valore commerciale) davanti al casolare, da lui ormai utilizzata solo ed esclusivamente per muoversi in campagna tra un terreno e l’altro.

A titolo cautelativo l’agricoltore ritiene di dover comunque presentare la denunzia di furto. Così, dopo circa una mezz’ora telefona ai carabinieri, i quali lo invitano a presentare formale denunzia al mattino. Effettivamente, alle nove del mattino l’agricoltore si reca in caserma e denunzia il furto dell’autoveicolo.

Trascorre più di un anno. Un bel giorno il nostro agricoltore viene raggiunto da un invito a comparire dinanzi al Giudice delle Indagini Preliminari: viene accusato di concorso in associazione a delinquere finalizzata al traffico di tabacco lavorato estero, oltre che di traffico di tabacco lavorato estero e di aver commesso, sempre in concorso di altri bei personaggi, già noti alla Giustizia, violazioni varie alla legge sull’imposta sul valore aggiunto; inoltre viene accusato per “falsa denunzia di furto”.

Lo sciagurato di turno si rivolge al suo legale. Così scopre che l’autovettura rubatagli era stata rinvenuta la notte del furto insieme ad altre utilizzate per una operazione di contrabbando interrotta dall’arrivo della guardia di finanza.

L’agricoltore (e con lui l’avvocato) confida di essere immediatamente prosciolto. Speranza vana: viene rinviato a giudizio. La pubblica accusa sostiene la falsità della denunzia di furto e, quindi, l’avvenuta partecipazione dell’agricoltore alle operazioni di contrabbando in questione.

- Pazienza - si consola l’agricoltore (e sempre con lui l’avvocato), fiducioso di poter chiarire la sua posizione nel giudizio dibattimentale.

Niente affatto. A nulla valgono le dichiarazioni dell’agricoltore e le belle parole del suo avvocato, che tira fuori un discorsetto sulla personalità della responsabilità penale, sulla presunta incostituzionalità della responsabilità oggettiva, sulla mancanza di seri indizi di colpevolezza del suo cliente nei fatti oggetto di giudizio. L’agricoltore si becca tra capo e collo una condanna ad un anno ed otto mesi di reclusione, senza sospensione di pena (pur essendo incensurato e sconosciuto alle forze dell’ordine!) per la particolare gravità del reato e per il pericolo di sua reiterazione, pagamento di £. 300.000.000 di multa e misura di sorveglianza speciale per un anno.

In particolare, la sua responsabilità e coinvolgimento nell’operazione di contrabbando viene assunta meramente quale “logica conseguenza” della “sicura” falsità della denunzia di furto, giudizio di falsità motivato dal collegio giudicante con il seguente sillogismo: 1) non è credibile la denunzia di un furto che l’imputato avrebbe accertato alle quattro di mattina perché “...solitamente a quell’ora la gente normale dorme...”; 2) la denunzia di furto non è credibile perché l’autovettura non presentava segni di manomissione e lo stesso imputato ha ammesso (ingenuo e fiducioso della giustizia) di averla lasciata aperta e con le chiavi inserite nel cruscotto; 3) nell’autovettura sono stati rinvenuti cinquanta litri di olio per motore che “...presumibilmente dovevano servire per lo scafo che ha scaricato il tabacco lavorato estero oggetto di sequestro...”; 4) l’imputato risulta pacificamente proprietario dell’autovettura; 5) dunque, “...deve ritenersi che quand’anche l’imputato non fosse presente all’operazione di contrabbando in questione, avesse quantomeno messo a disposizione dei contrabbandieri la sua autovettura...” e, pertanto, è responsabile in concorso con loro dei reati contestati.

***

Come ogni storiella, anche questa ha una sua “morale”: se vi rubano l’autovettura, guardatevi bene dal denunziarne il furto. E ricordatevi, oltre che di Pinocchio, del nostro agricoltore, dichiarati colpevoli il primo per essersi fatto ingenuamente derubare delle monete d’oro, il secondo per essersi fatto rubare altrettanto ingenuamente un’autovettura.

E come ogni storiella, anche questa ha un lieto fine: dopo la disperazione dell’agricoltore e le parolacce rivolte al suo avvocato, che le aveva girate al collegio giudicante nel suo atto di appello avverso la sentenza di condanna, il collegio giudicante di secondo grado si fa una bella risata, e tra tarallucci, vino e “vogliamoci bene” assolve l’imputato dalle accuse rivolte “per non aver commesso il fatto”.

* * *

...E con questo l’avvocato in parola ha mantenuto la promessa fatta ai giudici nell’atto di appello di rendere nota questa “storiella”. Però, esso stesso, “appresa la lezione” allorquando ha subito il furto della sua autovettura e l’ha rinvenuta dopo qualche giorno con all’interno siringhe, lacci emostatici, acqua distillata e piccole bustine vuote, si è presentato spontaneamente ai carabinieri ed ha confessato come Pinocchio: “Domando scusa sono un malandrino anch’io.”

Fine delle storielle. Inizio della riflessione…