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Riflessioni sul vincolo di mandato parlamentare. | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Riflessioni sul vincolo di mandato parlamentare.

Riflessioni sul vincolo di mandato parlamentare.


Che i principali istituti della rappresentanza politica fossero in crisi, lo si era capito da tempo. Ma che si arrivasse a rendere attualissimo il dibattito sulla trasformazione e sulla reale portata dell'art. 67 della Costituzione, forse non se lo aspettava nessuno.
Un articolo di soli due righi: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”

Un articolo ignorato dalla dottrina costituzionale per lungo tempo e che già in sede di Assemblea Costituente fu votato senza particolari discussioni. Anzi, proprio la rapidità con cui venne approvato ha portato molti a evidenziare come fossero stati appena percepiti, all'epoca, i problemi legati alle trasformazioni della rappresentanza negli ordinamenti della democrazia pluralista e di come fu trascurato lo straordinario ruolo assunto in essa dai partiti politici.

Lo stesso articolo venne ritenuto direttamente applicabile (senza bisogno di un intervento legislativo e interpretativo, magari attraverso un rinvio a successive regolamentazioni, come accaduto in altri casi) come un “argine” (di tipo liberale, nel senso consolidato del termine) alle conseguenze più estreme del principio democratico.

La questione è diventata attualissima nel dibattito politico-costituzionale seguito alle dinamiche politiche degli ultimi venti anni e messo in crisi dalle profonde modifiche operate da una fonte subordinata rispetto a quella costituzionale: la legge elettorale n. 270/2005.

Esiste un problema, costituito dall'abuso della mobilità parlamentare nel Parlamento Italiano, con conseguente instabilità (o quantomeno importanti “tensioni”) sull'attività del governo. Al punto che alcuni studiosi (per tutti, FURLANI, La revoca del mandato in elezioni locali. Considerazioni sulla base del diritto comparato, in Nòmos. Le attualità del diritto, vol. 2/3, 2000, pag. 96) sono arrivati a ritenere come potesse essere “istruttivo”, per l'esperienza italiana, il modello della costituzione sudafricana, che all'art. 47 introduce, tra le cause di decadenza dal mandato parlamentare, la perdita dello status di membro del partito nelle cui liste, un deputato, sia stato eletto.
Ma la soluzione al problema è quella proposta recentemente da Beppe Grillo, che, modificando la propria opinione rispetto ad un paio di anni fa, chiede l'abolizione dell'art. 67?


Questo il pensiero del comico diventato statista.
Una volta vinto il seggio “...l’eletto può fare, usando un eufemismo, il cazzo che gli pare senza rispondere a nessuno...”. Quindi “...dopo il voto il cittadino può essere gabbato a termini di Costituzione...”. In Parlamento, quindi, si praticherebbe la “...circonvenzione di elettore...”, una prassi “...molto comune nel Parlamento italiano, adottata da voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca...”, così praticata “...da essere diventata scontata, legittima, la norma. Non dà più scandalo...” In questo modo “...viene concesso al parlamentare libertà preventiva di menzogna, può mentire al suo elettore, al suo datore di lavoro, senza alcuna conseguenza invece di essere perseguito penalmente e cacciato a calci dalla Camera e dal Senato...”. Infatti “l’elettore, al momento del voto, crede in buona fede alle dichiarazioni di Tizio o Caio, di Scilipoti o De Gregorio. Lo sceglie per la linea politica espressa dal suo partito e per il programma. Gli affida un mandato di un lustro, un tempo lunghissimo, per rappresentarlo in Parlamento e per attuare i punti del programma...”. Ma nonostante il voto sia “...un contratto tra elettore ed eletto ed è più importante di un contratto commerciale...” è ritenuto “...del tutto legittimo il cambio in corsa di idee, opinioni, partiti. Si può passare dalla destra alla sinistra, dal centro al gruppo misto, si può votare una legge contraria al programma...”.

Sono curioso. Così, ho pensato di capire e verificare.

Ho riletto quanto scritto dal buon Temistocle Martines nel suo Diritto Costituzionale (nella mia edizione del 1984, pag. 304), dove viene spiegato che quell'articolo “...significa che il parlamentare, in quanto rappresentante dell'intera nazione e non già degli elettori del suo collegio, non può ricevere da questi disposizioni vincolanti circa il modo in cui deve svolgere il suo mandato, anche se, come è comprensibile, egli sarà portato a rendersi interprete alle camere delle esigenze e dei bisogni (a lui più immediatamente vicini) del suo elettorato...” Cosa deriva da questo principio? Prima di tutto la irresponsabilità politica: non esiste alcun presupposto per fa valere, per esempio attraverso la revoca del mandato, la responsabilità del parlamentare. L'elezione, in sostanza, non è un “contratto” e l'eletto deve essere tutelato nella sua indipendenza da qualsiasi potere politico, economico o sociale. Ne consegue che ciascun parlamentare, nello svolgimento della sua attività, può agire liberamente, non sussistendo alcun mezzo giuridico per costringerlo al rispetto di eventuali accordi o per chiamarlo in giudizio a rispondere del modo in cui ha esercitato il proprio mandato. Resterebbe la responsabilità politica, per la quale, nel caso di nuove elezioni, quel parlamentare potrebbe non più essere eletto.

Succede, però, che il divieto di mandato imperativo stabilito dall'art. 67 Costituzione risulta, di fatto, attenuato dalla presenza in Parlamento, attraverso l'appartenenza ai gruppi parlamentari, (non già con la sola elezione!) dei partiti politici, poiché i parlamentari tutti sono tenuti a seguire le direttive egli organi del gruppo (o “partito”) cui appartengono, trasformandosi quasi in meri portavoce dei partiti.

Eppure, anche in questo caso le opinioni di illustri studiosi sono contrapposte. Mentre alcuni ritengono (Virga tra tutti) che in questa maniera il divieto di mandato imperativo viene violato, altri (Mortati tra tutti) ritengono che la sottoposizione del parlamentare alla disciplina del partito non vale a fare venire meno il divieto, dal momento che il parlamentare non è tenuto all'obbedienza e può sempre orientare la sua volontà in maniera difforme dalle direttive ricevute.

La questione, precisa Martines, “...appare puramente formale...” perché nella realtà “...la disciplina di partito viene ad imporsi...” e del resto “...occorre pur dire che la disciplina di partito appare essenziale in un sistema in cui la rappresentanza politica viene mediata dai partiti.”

Di certo i nostri costituenti non erano pazzi. Dalla lettura degli atti ufficiali emerge come una certa preoccupazione per il “malcostume politico” fosse già presente nei costituenti.

Questo il dibattito agli Atti dei lavori del 19.09.1946, seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione.

Il Presidente Terracini. [...] Apre la discussione sul seguente articolo proposto dall'onorevole Mortati: “I deputati rappresentano la Nazione nel suo insieme”.

Mortati, Relatore, osserva che qui si dovrebbe affrontare la questione del divieto del mandato imperativo. Sottrarre il deputato alla rappresentanza di interessi particolari significa che esso non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme. Si domanda se la disposizione da lui proposta si possa omettere o meno, perché potrebbe anche assumere una particolare importanza, se, ad esempio, si facesse del Senato la rappresentanza della regione o di categorie, e perché non si può dimenticare che oggi i deputati sono espressione dei partiti con i quali hanno un diretto legame. Sta di fatto che il problema esiste ed ha anche avuto un riflesso negli ordinamenti in cui è stabilita la decadenza del deputato quando è sconfessato dal suo partito.

Il Presidente Terracini ritiene che la disposizione in esame si potrebbe omettere. Essa poteva avere la sua ragion d'essere nei tempi passati e col collegio uninominale, quando il deputato si sentiva anche rappresentante di interessi di classe o vincolato al partito che ne aveva proposta e sostenuta la candidatura e quando la rappresentanza era circoscritta al collegio. Conviene comunque con l'onorevole Mortati che la questione non è di facile risoluzione e che qualsiasi disposizione, inserita nella Costituzione, non varrebbe a rallentare i legami tra l'eletto ed il partito che esso rappresenta o tra l'eletto e il comitato sorto per sostenere la sua candidatura.

Mannironi desidererebbe che nell'articolo proposto dall'onorevole Mortati, o eventualmente in un altro, fosse espressamente stabilito che il deputato possa liberamente esercitare il suo mandato senza vincoli di sorta.

Fabbri osserva che la questione si potrebbe semplificare, discutendo se si debba oppure no introdurre nella Costituzione la vecchia formula dello Statuto Albertino, nella quale espressamente si vietava il mandato imperativo da parte degli elettori. In ogni modo è favorevole all'articolo proposto dall'onorevole Mortati.

Di Giovanni ritiene che il concetto espresso nell'articolo in questione venga a caratterizzare la rappresentanza politica. Dire, infatti, che i deputati sono rappresentanti della Nazione equivale a dire che essi sono rappresentanti politici. C'è anche un'altra rappresentanza, quella organica degli interessi, che può trovar posto in altra sede, ad esempio nella seconda Camera.

Lussu ritiene indispensabile introdurre in un articolo della Costituzione il concetto di rappresentanza nazionale del deputato. Ricorda che nel passato essa si intendeva come ammessa; tuttavia vi furono lunghe ed aspre discussioni per stabilire se il deputato rappresentasse il suo collegio o la Nazione. Se, come è probabile, si arriverà ad una Costituzione dello Stato su basi regionalistiche o autonomistiche, sarà necessario affermare nella nuova carta statutaria che il deputato rappresenta la Nazione, e ciò per ovvie ragioni di opportunità.

Bozzi si associa a quanto ha detto l'onorevole Lussu: crede indispensabile introdurre nella Costituzione una norma nel senso indicato, in vista della struttura regionale dello Stato. Nel vecchio Statuto c'era e il non volerla includere nel nuovo potrebbe avere un significato lontano dagli intendimenti della Sottocommissione.

Il Presidente Terracini, per risolvere la questione in esame, mette in votazione la seguente dizione contenuta nel progetto dell'onorevole Conti e assorbente quella proposta dall'onorevole Mortati:

I deputati sono rappresentanti della Nazione”.

(È approvata).

Apre la discussione sulla seguente formula proposta dall'onorevole Conti: “I deputati esercitano liberamente la loro funzione”, formula che preclude la possibilità di un mandato imperativo.

Lussu ritiene implicito che l'esercizio della funzione di deputati sia libero.

Mannironi dichiara che l'avverbio liberamente non gli sembra pleonastico: proporrebbe anzi che dopo le parole: esercitano liberamente le loro funzioni si aggiungessero le altre: e senza vincoli di mandato.

Lussu ritiene che l'onorevole Conti, con la parola liberamente abbia inteso indicare la libertà assoluta. Ciò rende impossibile che il deputato sia perseguito penalmente per l'attività svolta nell'esercizio delle sue funzioni parlamentari. Difatti, l'articolo proposto dall'onorevole Conti così prosegue: “I deputati, durante l'esercizio del mandato, non possono essere arrestati”.

Bozzi ritiene che l'espressione liberamente abbia un contenuto più ampio di quello racchiuso nel concetto di mandato, e debba intendersi nel senso di libertà assoluta, onde è inutile aggiungere le parole senza vincoli di mandato.

Grieco è contrario a includere la formula senza vincoli di mandato, perché, a suo avviso, i deputati sono tutti vincolati ad un mandato: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma, un orientamento politico particolare. Con l'aggiunta proposta dall'onorevole Mannironi si favorirebbe il sorgere del malcostume politico.

Mortati, Relatore, fa presente che nell'ultimo articolo da lui proposto e non approvato dalla Sottocommissione, si era astenuto dall'introdurre l'avverbio liberamente, pensando che esso potesse riferirsi tanto alle opinioni espresse dai deputati, quanto ai rapporti tra deputati ed elettori o partiti. Ciò per non pregiudicare una questione che dovrà essere risolta in un secondo momento: quella dei rapporti tra deputati ed elettori. Difatti si dovrà decidere se includere o meno nella Costituzione il criterio della revocabilità del mandato da parte degli elettori.

Lussu dichiara di essere contrario all'uso della parola liberamente poiché crede che con essa possano sorgere dubbi di interpretazione.

Il Presidente Terracini mette in votazione la formula:

I deputati esercitano liberamente la loro funzione.

(È approvata).

Mannironi insiste sulla sua proposta di aggiungere alla formula approvata l'espressione: senza vincoli di mandato.

Fabbri propone, qualora fosse accolta l'aggiunta dell'onorevole Mannironi, di farla seguire da un punto e virgola e dall'espressione: nessun mandato imperativo può darsi dagli elettori.

Mannironi dichiara di non aver nulla in contrario alla proposta fatta dall'onorevole Fabbri.

Il Presidente Terracini mette ai voti l'aggiunta alle parole: i deputati esercitano liberamente la loro funzione, delle seguenti, proposte dagli onorevoli Mannironi e Fabbri:

e senza vincoli di mandato; nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori.

(È approvata).


Successivamente, il 23.10.1946 sempre la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione delibera di estendere ai senatori quanto stabilito per i deputati nell'articolo approvato il 19.10.1946. Dopo un anno, il 10.10.1947, l'Assemblea Costituente approva l'articolo nella sua forma definitiva:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

La votazione finale si svolge il 20.12.1947.


No, i costituenti non erano dei pazzi. Tutt'altro. Quella norma non è una esclusiva della Costituzione Italiana, ma è comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative. Deriva dal principio del del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo), formulato da Edmund Burke già prima della Rivoluzione Francese, nel suo famoso Discorso agli elettori di Bristol, tenuto il 3 novembre 1774, dopo la sua vittoria elettorale in quella contea. In quel discorso, Burke propugnò la difesa dei principi della democrazia rappresentativa contro l'idea, da lui considerata distorta, secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli interessi dei propri elettori: “...Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale.”


Il principio fu poi ulteriormente elaborato da Emmanuel Joseph Sieyès, e fu inserito nella Costituzione francese del 1791: “ I rappresentanti eletti nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipartimento particolare, ma della nazione intera, e non potrà essere conferito loro alcun mandato.”

Il divieto di mandato imperativo sancito dai rivoluzionari francesi si pone agli antipodi della situazione presente nelle assemblee rappresentative nell' Ancien Régime: ad esempio, negli Stati generali francesi vigeva un vincolo di mandato che instaurava, tra eletto ed elettori, un rapporto di rappresentanza analogo a quello privatistico.

Un divieto simile a quello della carta rivoluzionaria francese venne incorporato anche nello Statuto Albertino: “I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.”

I deputati, dunque, esercitano la rappresentanza della intera Nazione e non dei singoli cittadini, ed ancor meno dei partiti, delle alleanze, dei movimenti o qualsiasi altra forma d’associazione organizzata con il fine di ottenere voti per essere eletti membri del Parlamento italiano. L'assenza di vincolo di mandato rende legittimo per i parlamentari il passaggio a un gruppo parlamentare diverso da quello originario, relativo alla lista di elezione.

Il mandato imperativo è invece parte integrante delle costituzioni degli stati socialisti, che assoggettano a vincolo il mandato rappresentativo dei membri delle assemblee ai diversi livelli territoriali, fino al parlamento nazionale, rendendone possibile la revoca da parte del partito comunista di appartenenza, vero dominus dell'iniziativa politica in tali sistemi.

La verità è che la causa delle degenerazioni che hanno riportato all'attualità questa norma costituzionale non è affatto essa stessa o il principio in essa sostenuto, quanto piuttosto una pessima legge elettorale. Inoltre, come sempre occorrerebbe far ricorso a tutt'altro principio ispiratore: quello del buon senso. Quello che dovrebbe suggerire di avere l'onestà di dissentire rispetto alle opinioni di un gruppo attraverso quella forma di libertà garantita dall'art. 67 Costituzione.

La conclusione è semplicissima: l'abrogazione dell'art. 67 Costituzione costituirebbe un pericolo che una democrazia non può permettersi. Grillo può anche essere libero di dire che “darà calci in culo ai voltagabbana”, come “guai a non attenersi alle direttive del Movimento, a cambiare idea”; ma non si azzardi a dire che il suo fine è cambiare la politica. Questo atteggiamento cambia la democrazia, che è una cosa diversa.

Personalmente non ho dubbi. Ci saranno pure difficoltà. Ci sarà pure da migliorarsi. Ci sarà pure da riformare lo Stato, oltre che il rapporto tra Stato e cittadino. Ma guai a minare centralità ed indipendenza delle assemblee elettive, luogo in cui gli eletti hanno l'obbligo morale di guardare agli interessi più alti e generali dell'intera comunità, non solo di quella – più limitata – che gli ha eletti.

Ho paura dell'antiparlamentarismo. Ho paura dell'antipolitica. Ho paura di chi non vuole discutere. Ho paura di chi non sa cambiare idea. Ho paura di chi non vuole che non si cambi idea.