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Populismo e giustizia. Rischi delle esasperazioni. | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Populismo e giustizia. Rischi delle esasperazioni.

Populismo e giustizia. Rischi delle esasperazioni.


Nel fervente dibattito intorno alla parola popolo ed al suo derivativo populismo, anche nelle conversazioni più spontanee occasionate dall’attualità politica, c’è sempre chi si affanna a ricordare come sia la nostra Carta Costituzionale a riconoscere primario rilievo al popolo. La sovranità …appartiene al popolo,…”, recita il capoverso del primo articolo della Costituzione.

La sovranità costituisce qualità giuridica essenziale dello stato moderno. Ne indica il suo carattere di originarietà, non derivando la validità dello Stato da alcun altro ordinamento superiore; di indipendenza rispetto ad ogni altra persona giuridica esistente; di supremazia rispetto ad ogni altra persona, fisica e giuridica, presente nel suo ambito territoriale. Lo Stato, dunque, è superiore agli elementi che lo compongono.

Riconoscere che la sovranità “appartiene al popolo” significa che lo Stato, in tutte le sue componenti istituzionali, trova la sua legittimazione e fonte primaria nel popolo, chiamato, “…nelle forme e nei limiti della Costituzione…” – come continua il testo dell’art. 1 – alla partecipazione decisionale, secondo le regole proprie della democrazia, esercitata mediante il diritto di voto.

L’inciso “nelle forme e nei limiti della Costituzione” circoscrive l’estensione della sovranità popolare, che, pur riconosciuta, si inserisce nei delicati equilibri di garanzia costituzionale per il corretto funzionamento dello Stato.

Popolo e Costituzione
In quelle nostre ormai abituali conversazioni, ci si spende nel rivendicare la sovranità per il popolo; ci si dimentica e tralascia i limiti, pur esistenti, di quel riconoscimento.
Tra i poteri dello Stato, anche quello dell’amministrare la giustizia è esercitato “…in nome del popolo.” (art. 101, Costituzione). Le sentenze che ogni giorno vengono pronunziate e pubblicate nelle aule giudiziarie, lo sono “in nome del popolo”. Al di là di ogni retorica, la previsione vale a superare definitivamente il regime fascista previgente, durante il quale i giudici erano ad esso assoggettati, con palese condizionamento nell’esercizio del relativo potere. La nuova previsione costituzionale, con l’autonomia del potere giudiziario e l’indipendenza della magistratura (giudicante e requirente), garantisce l’effettività della tutela giurisdizionale, il perseguimento del fine di giustizia e di garanzia dei diritti dei cittadini, componenti del popolo nel cui nome il potere si esercita.

In questa maniera la funzione si sottrae sia alle mutevoli logiche e condizionamenti delle maggioranze politiche del momento, sia al diretto consenso popolare (“…nelle forme e nei limiti della Costituzione…”) al fine di evitare pericolose derive giacobine, sottraendo l’amministrazione della giustizia proprio alla immediata volontà popolare. La mancata scelta popolare dei magistrati, per quanto costituisca eccezione al principio di partecipazione democratica, risponde ad una precisa volontà di svincolare i magistrati dal potere politico, garantendo loro imparzialità ed indipendenza. Quello della indipendenza della magistratura, con il Capo dello Stato che ne presiede l’organo di autogoverno, il Consiglio Superiore della Magistratura, è uno dei principi che garantisce quell’equilibrio tra i diversi poteri essenziale per corretto funzionamento dello Stato, prima riferito.

Popolo e populismo
Queste sono le basi per interpretare correttamente il riferimento al “popolo” contenuto nella nostra Costituzione.
In verità, ogni volta che, proprio come nell’attuale momento storico e peraltro non solo in Italia, si evoca la parola popolo, occorre particolare prudenza. A meritare attenzione è soprattutto quel particolare derivativo, populismo, croce e delizia delle democrazie contemporanee, sempre più occupate nel conciliare l’esigenza di dar voce ai molteplici pressanti bisogni sociali, spesso amplificati attraverso i social media, ed il difficile compito di individuare quelli di effettivo interesse comune, a salvaguardia dei superiori preminenti fini pubblici.

Nella opinione più generale, il fenomeno del populismo entra spesso in correlazione con il funzionamento della giustizia. Si avverte una diffusa insofferenza nei confronti della complessità del fenomeno giudiziario, con la sua ontologica esigenza di rispettare le regole sostanziali e procedurali ai fini della corretta assunzione delle decisioni. C’è sempre chi, cavalcando l’onda popolare che non conosce i meccanismi giudiziari – certamente complessi, ma per fortuna garantisti – vorrebbe superarli in prospettiva di presunti migliori risultati di giustizia sostanziale. E c’è sempre chi, quasi a conseguenza, diffida di giudici e finanche di avvocati.

Suscita particolare perplessità la diffidenza nei confronti dei giudici. Per quanto si tratti di persone umane, con pregi e difetti propri di ognuno di noi, con sensibilità, culture ed opinioni personali, come tali passibili di errori, la funzione che esercitano richiede competenze e professionalità, oltre che l’iniziale superamento di un pubblico concorso. Secondo la configurazione dettata dal sistema costituzione, nulla dovrebbe condizionarli nell’esercizio della funzione, se non le conoscenze richieste dal caso concreto. Giammai dovrebbero condizionarli le pressioni esterne di tipo culturale, sociale e politico, rimanendo indifferenti all’opinione pubblica, sempre pronta a tifosamente sbracciarsi a favore o contro un determinato risultato giudiziario, sempre pronta a condannare o assolvere o risarcire a seconda del proprio convincimento. A volte a seconda dell’audience raccolta dal protagonista del fatto giudiziario nelle sue infinite presenze televisive.

Popolo e giustizia
L’onda popolare è sempre più insofferente verso la complessità dei fenomeni giudiziari. Si pretende celerità e soluzione a tempo di clic; come se anche i casi concreti possano risolversi girando su qualche sito web e cogliendo risposte volanti nell’etere.
La sensazione è che non si colga, comunemente, che i fenomeni giudiziari, in genere l’intero mondo del diritto, sfugge alla immediata percezione di chi non possieda sufficienti elementi professionali. Con il rischio di banalizzare ed irridere la complessa attività degli operatori di giustizia, finendo con l’alimentare un pericoloso conflitto tra giustizia e popolo.

Come non definire, se non banali, frasi, titoli e commenti secondo cui le sanzioni irrogate sarebbero troppo miti ed inadeguate rispetto all’aspettativa di giustizia; tanto più se riguardino immigrati, peggio ancora se clandestini. O la generale insofferenza verso la funzione difensiva. O la diffidenza verso la magistratura, casta privilegiata ed autoreferenziale, colpevole di non assecondare le aspettative del popolo. O certe affermazioni che vorrebbero eleggerla, la magistratura, senza avvedersi il grave rischio che ne sarebbe sotteso.

L'obbligazione politica
Non può condividersi l’attuale esasperazione che si scorge nell’opinione pubblica in favore di una giustizia sostanziale sciolta e libera dai lacci delle leggi e del processo. Con il tracciamento progressivo di un solco sempre più profondo tra la giustizia avvertita a livello personale e quella affannosamente prodotta nei tribunali, delegittimata. A modo di circuito chiuso, non può parimenti condividersi la tendenza da qualche tempo sottilmente generatasi, da parte del potere politico, favorito e condizionato da quella deleteria volontà popolare, ad assecondare, attraverso l’attività legislativa, quella stessa esasperazione. Piuttosto, proprio gli eletti dovrebbero farsi carico dell’esigenza di evitare la propagazione di posizioni intolleranti.

Quella di Antigone non è una semplice favoletta per giovani studenti. Il tema della profondità di quel solco, del contenuto, del valore, della misura, della efficacia dell’obbligazione politica, è antico ed in perenne evoluzione.

Lavorare sull'uomo - individuo
Occorre lavorare per innalzare nel sentimento popolare, come con i piccoli mattoni che finiscono con il costruire il palazzo, il primato della politica, riconducendo il tema della sovranità popolare nel giusto binario e riconoscendo che il relativo potere si esercita con misurato equilibrio.

Esiste un sottile parallelismo tra sovranità popolare ed attività politica, sviluppo complesso di sentimenti, visioni, proposte, accordi. È fondamentale che il popolo, parte integrante dello Stato, titolare della sovranità, comprenda e rispetti i principi stessi che, in fondo, lo legittimano, costituito da regole di rango costituzionale che richiedono e garantiscono reciproco rispetto tra varie componenti ed istituzioni dello Stato. Come è altrettanto fondamentale comprendere che popolo, è ben poco rispetto a individuo, cioè la persona nella sua più profonda soggettività. Lui, l’uomo – individuo è promotore e destinatario di ogni attività. Anche statuale, espressione della comunità civicamente organizzata. In fondo, effetti dell’attività statuale – che siano benèfici o deleteri – rilevano, interessano e riguardano proprio lui, l’uomo – individuo, tutto preso e preoccupato nello stare e costruire la vita. Lo Stato costituisce il momento in cui le individualità scoprono quello che di loro è comune, quello che, nello stare e costruire la vita, comune destino, diventa comune interesse, comune meta.

Occorre, allora, lavorare sull’uomo – individuo, cui compete, relazionandosi socialmente, dare vigore al gruppo, in modo che da formare un’unica comune corale voce popolare. Occorre lavorare sull’uomo – individuo, rafforzando e proteggendo la sua libertà di esprimere la propria volontà, liberamente e democraticamente espressa, anche attraverso modelli elettorali adeguati.

Bisogni ed esigenze popolari trovano soddisfazione solo laddove si aspiri ad una idea di giustizia che, dopo averle correttamente interpretate, sappia oltrepassare le individualità, conciliando e contemperando il diritto dell’individuo nell’esperienza giuridica comune, attività umana in costante formazione, prodotta secondo le regole costituzionali, non certo intangibili ma necessariamente garantiste di un corretto ed equilibrato esercizio della sovranità popolare.

Intendere ed assecondare un diverso significato di sovranità popolare, avventurandosi finanche nel cavalcare istanze giustizialiste, strumentalizzando episodi di cronaca senza cogliere la specificità del complesso fenomeno giudiziario, vale quanto affossare l’individuo e le sue faticose conquiste, riducendolo a banderuola soggetta ai costanti e sempre variabili ventosi della vita, comprimendone dignità e libertà più autentiche.