Qualità della
vita o valore della persona?
Considerazioni
a margine del dualismo tra positivismo e legge morale naturale.
Nella cultura moderna esiste un bivio importante tra
una concezione positivistica del diritto e una concezione più umana.
Secondo la concezione positivistica, il diritto s’identifica
con la legge che lo Stato, nell’esercizio della sua sovranità, stabilisce
attraverso forme determinate e la cui effettività garantisce attraverso la
minaccia della coazione e l’uso della forza. La legge dello Stato, come fonte
del diritto, cui tutte le altre sono subordinate, è assoluta giacché non è limitata dalla legge morale, né dalle altre
fonti. Dunque, fonda l’intero universo della giuridicità sulla legge, senza
ammettere condizionamenti da un ipotetico stato di natura.
Questa concezione si oppone ai princìpi, proposti
originariamente dalla filosofia greca, dal diritto romano e dalla filosofia
cristiana, secondo cui non la sovranità, bensì la idoneità a realizzare il bene
comune temporale è la nota caratteristica dello Stato.
Già la filosofia greca individuava nella pólis
la comunità perfetta, nell’ambito della quale la legge dello Stato, peraltro
subordinata alla legge morale, non sarebbe l’unica fonte del diritto. In ogni
società esisterebbe una pluralità di fonti, intese come modi di
positivizzazione della vigenza dello ius, quale espressione del
pluralismo sociale. Il diritto affonderebbe le sue radici nella res iusta,
nella stessa cosa giusta, che costituisce l’oggetto terminativo della condotta
sociale dell’uomo.
Contro l’idea riduttivistica del diritto come legge,
gli studiosi (soprattutto cristiani) hanno sempre affermato, anche nelle epoche
più buie del positivismo giuridico, una nozione più ampia e complessa di
diritto. Il diritto è costituito per un verso dalla medesima condotta giusta;
per un altro verso, dalla regola positivizzata dalla legge o altre fonti giuridiche,
che assumono come modello obbligatorio per tutti la condotta giusta nella
situazione tipica. Per un altro verso ancora, l’ordinamento giuridico è
costituito dal complesso dei diritti soggettivi di ciascuno e di tutti a
vedersi riconoscere il titolo a ottenere la giusta prestazione da parte degli
altri componenti la comunità politica.
Alla base di questa concezione del diritto sta la
nozione di res iusta, che si determina nel caso concreto con
riferimento al vero della legge morale e al bene che costituisce il fine
dell’uomo. Non sarebbe vera legge, ma
sua corruzione, quella statuizione dello Stato che contraddica la verità della
legge morale e che prescinda dal bene dell’uomo.
La distinzione di fondo, che appare accademica o meramente dottrinaria, comporta importanti differenze applicative che, a loro volta, conducono e propongono differenti prospettazioni quando si passi alla lettura e analisi dell’attuale contesto storico - sociale.
Sul piano teorico, nessuno presta più credito alle
tesi della sovranità assoluta dello Stato e della legge come unica fonte del
diritto. La diluizione della sovranità statale e la frantumazione dell’unicità
delle fonti del diritto è ormai pacifica, salva la differenza riguardo alle
costruzioni teoriche e pratiche dell’ordinamento giuridico.
Sennonché, invece di riguadagnare il principio che
afferma il legame di dipendenza del diritto rispetto alla morale, si assiste,
soprattutto nei campi più eticamente sensibili quali riguardanti i problemi
fondamentali della vita e della morte, a uno sviluppo ancora più esposto del
vecchio positivismo giuridico verso una deriva totalitaria.
Il positivismo giuridico che caratterizzò la modernità
si limitava, per così dire, a espungere il fondamento della morale dalla legge
positiva. Non mirava direttamente a creare una nuova legge morale, poiché non
aggrediva tematicamente e direttamente i modelli di comportamento praticati
comunemente nella comunità sociale, che erano ancora ispirati, sia pur
parzialmente, ai princìpi morali tradizionali.
La legge morale – secondo l’orientamento prevalente
all’interno del pensiero liberale classico e delle democrazie laicistiche –
dovrebbe restare esterna all’ordinamento giuridico; essa potrebbe valere per il
singolo, allo scopo d’indirizzare il suo orientamento interiore, non già per la
società, per la regolazione della cui vita sarebbe determinante soltanto la
legge positiva. La legge giuridica non avrebbe nulla a spartire con la morale e
regolerebbe i rapporti esclusivamente esteriori delle persone fisiche che
vivono in società. Secondo il postulato, in verità non corretto, della
neutralità morale della legge positiva, le due sfere della morale e del diritto
non dovrebbero toccarsi, avendo ciascuno di essi campi di applicazione diversi.
A partire dalla rivoluzione nel costume che si è
affermata nelle società occidentali con gli eventi del 1968 e, in seguito, con
sempre maggiore intensità, nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, si è
assistito a un cambiamento radicale di prospettiva da parte dei centri di
potere, culturale e politico, che guidano la disintegrazione e la
demoralizzazione del corpo sociale dell’Occidente, già a prevalente tradizione
cristiana.
Il nuovo credo, proposto come programma politico e
giuridico, s’ispira a una forma di relativismo etico che tende a influenzare
l’ordinamento giuridico e a trasformare positivamente, attraverso l’arma
potente del diritto, la mentalità e il costume e, alla fine, i comportamenti
pratici.
Secondo questa impostazione il diritto non è più
concepito come neutrale rispetto alla morale. Invece, il diritto dovrebbe farsi
promotore della diffusione di un nuovo paradigma morale, espressivo di una
visione di completo relativismo etico. La legge, non più vista soltanto nella
sua dimensione coattiva, ma soprattutto in chiave persuasiva, dovrebbe
diventare strumento per la capillare diffusione di tale nuovo paradigma.
Il nuovo paradigma suggerisce un nuovo modello di
sviluppo in cui rivestono importanza fondamentale i temi relativi alla qualità
della vita e ai valori interpretati in un’ottica esclusivamente
individualistica, soggettivistica e edonistica, senza alcun riferimento alla
legge morale oggettiva e ai diritti e ai doveri che da essa necessariamente
discendono per i singoli e la società.
Il nuovo paradigma ha per scopo l’elaborazione di
un’etica globale che favorisca il benessere dei singoli e lo sviluppo
dell’umanità. Poiché le religioni del mondo non sarebbero idonee a generare
questa etica globale, occorre integrarle con una spiritualità di tipo terreno,
il cui obiettivo ultimo sarebbe rendere vivibile il mondo attuale e, in esso,
favorire la prosperità ed il benessere dell’uomo.
Per quanto riguarda i valori, la tesi diffusa
all’interno del nuovo paradigma consiste nell’affermare che oggi sarebbe
necessario creare nuovi valori utili per vivere pacificamente. I
valori della società precedente, come la libera impresa, la sovranità
nazionale, le religioni, i dogmi, la legge naturale
e i valori tradizionali in genere, dovrebbero essere rifiutati, in
quanto sarebbero inappropriati alle nuove esigenze di vita e, per giunta,
sarebbero responsabili di aver creato un vuoto etico.
Per quanto riguarda la qualità della vita, il
nuovo paradigma attribuisce rilievo determinante al tema della salute fisica e
psicologica, e, all’interno di esso, alla cosiddetta salute
riproduttiva. Questo grande problema viene trattato con il rinvio a una
bioetica chiusa al trascendente, soggettiva o autonoma, in cui le
regole dell’etica sono tratte esclusivamente dai princìpi definiti come di autonomia,
di beneficialità e di giustizia, da cui si ricava il concetto
di giusto, consistente nel dare a ciascuno ciò che egli desidera e
della cui attuazione si assume tutte le conseguenze. Formula, quest’ultima, in
cui è evidente la corruzione in senso soggettivistico del classico principio
del giurista romano Ulpiano, secondo cui l’essenza del giusto consiste nel dare
a ciascuno il suo, suum cuique tribuere.
Merita osservare, a commento del nuovo paradigma, tre
aspetti principali, strettamente correlati fra loro nell’indurre effetti di
ambiguità. La confusione è creata artatamente allo scopo di rendere impopolare
qualsiasi tipo di ferma opposizione alla nuova concezione “etica”.
Il primo aspetto consiste nella indeterminatezza dei
concetti, che possono significare, a seconda del punto di vista assunto, cose
radicalmente differenti.
Il secondo sta nell’accostamento indebito di concetti
che alludono a realtà completamente eterogenee, come è il caso, per esempio,
dell’accostamento della sovranità nazionale alle religioni o
alla legge naturale.
Il terzo aspetto, che descrive, peraltro, lo scopo
insidioso perseguito attraverso la confusione del linguaggio e la mescolanza di
realtà diverse, consiste nella colpevolizzazione della sovranità nazionale
e della libera impresa, per la desolazione in cui molti popoli della
terra oggi si trovano, allo stesso titolo delle religioni, dei dogmi,
e della legge naturale, come se fossero i princìpi religiosi e i
valori tradizionali una delle cause che hanno determinato i disastri morali ed
ecologici del pianeta.
In questa situazione, ove il diritto viene utilizzato
espressamente per instaurare una mentalità e un costume, nonché per dettare
regole pratiche di comportamento diametralmente contrarie a quelle ricavabili
dal diritto naturale, sarebbe utile ripensare al concetto della necessaria
consonanza del diritto con la legge morale, nonché del carattere antigiuridico
della legge ingiusta e, conseguentemente, della sua inesistenza giuridica, con
il corollario della sua doverosa disapplicazione.
Il principio fondamentale che occorre porre a base di
ogni legge è il concetto di dignità della persona, in antagonismo con concetti
ambigui espressi da termini fumosi come valori
e qualità della vita, resi
particolarmente insidiosi dalla manipolazione soggettivistica. La dignità è
inviolabile, non è negoziabile, è oggetto di rispetto morale e giuridico
incondizionato, e la sua violazione costituisce un atto intrinsecamente
malvagio.
In verità, non si contrappongono fra loro una
concezione laica o razionale e una concezione teologica o religiosa dell’uomo;
bensì, tutto all’opposto, una concezione soggettivistica, individualistica,
edonistica dell’uomo, e una concezione rigorosamente razionale e oggettiva. La
prima disconosce e offende l’evidenza oggettiva allo scopo di favorire il
benessere fisico e psicologico di chi è in grado di dominare lo sviluppo della
vita dell’essere ancora incosciente o non più cosciente. La seconda, invece,
rispetta la realtà dell’uomo così come esso effettivamente è, conformando i
rapporti fra l’essere cosciente e l’essere incosciente in termini di
uguaglianza e di proporzione.
Sotto il profilo giuridico, l’attuazione della
concezione individualistica, soggettivistica ed edonistica esprime la
prevaricazione di chi è forte e potente su chi è debole e povero. Senonché il
riconoscimento come diritto soggettivo di una res radicalmente
ingiusta in una norma della comunità politica configura non una legge, ma una
corruzione della legge, che non obbliga la coscienza. Essa è un fatto ingiusto,
non è diritto.
Occorre operare affinché l’ordinamento giuridico, ogni
operatore del diritto, non solo il legislatore, attraverso il ricorso al
principio del limite, della prudenza e della cautela, salvaguardi e protegga il
valore della sacralità della vita intera e della dignità della persona umana. Il
diritto nega se stesso o diviene soltanto una forza imposta da chi esercita il
potere, se non protegga la dignità della persona umana.
Senza trascurare come anche il concetto di “persona” viene
spesso usato in modo discriminatorio. Alcuni sono riconosciuti persone; altri
invece non lo sono, così aprendo la via – nei casi più gravi – finanche alla
loro eliminazione legale. Invece il concetto di “persona” deve servire a
distinguere ogni essere umano da qualsiasi altra entità creata. In altri
termini, ogni uomo è persona e va tutelata. Dunque, l’impegno degli operatori
del diritto è quello di rendersi operatori al servizio della vita, evitando
quelli eccessi che finiscono con il minare le fondamenta della democrazia
trasformandola in totalitarismo, e della libertà trasformandola in egoistica
licenza.
Il fondamento della democrazia è l’affermazione dell’eguaglianza di ogni uomo esclusivamente in virtù della sua umanità, non a causa di ciò che egli possiede o è capace di fare. Quando gli stati si arrogano il diritto di distinguere tra vite umane che avrebbero un valore e vite umane che non ne avrebbero, ci si incammina verso l’aberrazione della democrazia, aprendo le porte al totalitarismo, regno dell’arbitrio e dell’interesse economico del più forte.
Partecipare al corretto sviluppo dell’ordine
giuridico, dunque, come all’esercizio del potere, adoperarsi per modificare
norme e prassi amministrative ingiuste, è finalità alta per la quale è bene
attivarsi con sforzi tenaci e quotidiani.
Costruire un ordine giuridico trascurando principi
etici superiori può essere pericoloso. La storia, anche recente, offre esempi
terribili. Invece, nella realizzazione di quell’ordine, che è essenzialmente
ordine storico – giuridico, occorre lasciarsi guidare da principi universali
che consentono di verificare un denominatore comune per l’intera umanità.
Questi principi vengono offerti dalla legge morale naturale, che, forte del
proprio carattere universale, permette di scongiurare errori storici, offrendo
le garanzie per un autentico rispetto della persona umana, in equilibrio con l’intero
contesto nel quale è inserita.