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Riflessioni a margini de "Un nuovo volto per il diritto" (recensione di Carmen De Mola)

Riflessioni a margini de "Un nuovo volto per il diritto" (recensione di Carmen De Mola)


Dalla lettura di questo libro si evince come l’Autore, attraverso un ampio excursus filosofico, teologico e giuridico, si ponga il problema di cercare una nuova dimensione costitutiva del diritto: un volto, come direbbe Lévinas, che guardi all’altro orientando l’azione dell’individuo e che lo “preoccupi” circa le intenzioni e gli sviluppi del suo agire.

Per me che non ho una formazione giuridica, ma classica, il percorso intellettuale di Eugenio Scagliusi mi è sembrato immediatamente orientato al superamento della dimensione dello ius nelle molteplici declinazioni storiche.

La storia ai suoi albori ha conosciuto, infatti, la realtà primitiva del rex, ossia di colui che per mezzo del regere fines, ovvero del tracciare con l’aratro il perimetro di un’area nella quale inscrivere la dimensione prima fisica e poi normativa della città, nello stesso momento fondativo la predisponeva ad un assetto giuridico, incarnato e garantito dalla sua stessa persona di fondatore. Di qui la dimensione del rectum, cui si fa risalire l’inglese right, che corrisponde a tutto quello che è giusto, lecito, socialmente avallabile in contrapposizione a ciò che “retto non è” e quindi in-iustum, non riconosciuto dall’autorità costituita.

Dalla dimensione monarchica dell’antichità romana, attestata dalle tracce linguistiche dei primi riti di fondazione della città, alla fase repubblicana caratterizzata dalla maggiore estensione dei diritti civili, sintetizzati nell’espressione latina “civis Romanus sum”, si arriva, dopo tante esperienze storiche, alle democrazie imperfette dei nostri giorni. Democrazie che sono espressione di una forma di diritto spesso incompiuta, ma perfettibile nella misura in cui dovrebbe riconoscere ad ogni persona – per il solo fatto di essere parte del consesso umano – diritti e doveri cui ispirarsi per inscrivere la propria vita secondo la geometria perfetta di un témenos: un recinto circoscritto dalla sacralità di uno ius rispettoso dell’unicità di tutti e di ciascuno, sulla base di valori reciprocamente riconosciuti e condivisi.

È questa la dimensione di valorizzazione della persona, della quale vi è eco nella Costituzione, retaggio della lezione del personalismo dei filosofi Maritain e di Mounier, citati abbondantemente dal nostro Autore nelle pagine del libro.

Eppure nella dialettica fra l’oggettiva applicazione delle norme a tutela della vita e della dignità dell’individuo nella società, e la valutazione della realtà esistenziale del singolo  che – a seconda dei casi e delle circostanze dovrebbe essere considerato un unicum e come tale giudicato o considerato nel contesto civile –  l’esercizio del diritto positivo, si rivela – alla luce delle esperienze storiche pregresse e contemporanee – uno strumento decisamente imperfetto non solo nella gestione della giustizia (ius-dicere), ma anche nella quotidiana azione amministrativa.

Gli uomini, se considerati sotto il profilo teologico, sono inclini al peccato e la storia, è in quest’ottica, la conseguenza di scelte individuali e collettive orientate al bene o al male: di qui l’agostiniano conflitto fra la dimensione della concordia della Civitas Dei (in cui a tutto il regno piace com’a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia) e la Civitas hominum (l’aiuola che ci fa tanto feroci).

Il cristiano, perciò, se si riconosce realmente cittadino di quel témenos (lat. templum), tracciato dall’indice creatore di Dio, dovrebbe agire per uniformare anche la sua idea di diritto al Logos, Azione e Parola, che dà vita e voce all’Uni-versus (ovvero a tutto ciò che, secondo i filosofi medievali, poteva essere ricondotto all’Unus, ovvero a Dio).

Ma la sfida, e non di poco conto, sarebbeoggiagire per tracciare i confini di  una ipotetica “città della concordia” innanzitutto fra chi non condivide i valori del cristianesimo nell’hinc e nel nunc di un contesto epocale che ha da qualche secolo ormai proclamato la morte di Dio, che ha visto fallire le grandi utopie collettive del Novecento e affermato l’individualismo come unica religione di un tempo confuso che svilisce ogni giorno la dimensione politica: ministerium sociale, questo, miseramente ridotto a un cabotaggio quotidiano, oscillante fra il conseguimento di un immediato tornaconto personale e l’investimento  capitale di un esplicito familismo amorale.

E se la progettualità di una nuova dimensione del diritto potrebbe non interessare una società offuscata dal nichilismo, drogata dal consumismo e incline alla reificazione delle relazioni interpersonali, anche fra i cristiani appare difficile a volte trovare chi sappia comportarsi come il Padrone della Vigna (Mt. 20, 1 – 16) disposto a scardinare ogni principio di giustizia retributiva. E di certo il cristiano lamenterebbe la  discrezionalità ad una applicazione non oggettiva delle norme del codice penale se il giudice  ovvero colui che parla in nome del diritto, i.d. ius-dex), nel momento della comminazione della pena, fosse preso dalla clemenza e si fermasse all’osservazione attenta del volto dell’imputato, considerando le circostanze della storia personale, distinguendo le in - iuriae commesse dal reo da quelle che gli sono state inferte dall’indifferenza della società civile che avrebbe potuto magari farsi carico delle sue difficoltà esistenziali e impedirgli di delinquere.

La storia per il cristiano è illuminata dal Logos, Parola e Azione di Dio creatore. La sfida del cristiano autentico, pare suggerirci Eugenio Scagliusi, è quella perciò di ritrovare quella luce, secondo la dimensione paolina dell’Amore divino più che della Legge degli uomini, e di renderla sfolgorante e attuale in un contesto secolare. Secondo una rinnovata accezione della dimensione giuridica, che, dall’imitazione del volto della misericordia di Dio, attribuisca al diritto – di tutte le genti – un volto finalmente umano.  

(recensione di Carmen De Mola, pubblicata nella rivista Vivere In, n. 6/2022, pag. 38 - 39)

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