L’avvocato civilista Eugenio Scagliusi, barese, conduce da anni un approfondimento per così dire singolare. O forse verrebbe da dire semplicemente démodé, perché tale è grottescamente considerata oggi la riflessione filosofica. Che da strumento centrale qual era, sembra essere uscita dall’orbita dell’attenzione pubblica. Ebbene, Scagliusi dopo aver indagato e scritto sul lògos come strumento di nuove relazioni nella politica e poi del lògos come assunzione di responsabilità nella dimensione collettiva, arriva ora a riflettere sul lògos come amore.
È arrivato nelle librerie, soprattutto quelle del circuito religioso, l’ultimo suo libro: Un nuovo volto per il diritto (Vivere ln, pagg. 136, 15 Euro). Lo studio ripercorre – spaziando da Sant’Agostino a San Paolo, da Kant a Maritain – la millenaria questione del rapporto tra obbligazione morale e obbligazione giuridica. E del come la prima possa (o debba) condizionare la seconda.
Il cattolico Scagliusi vorrebbe trarre da questa rinnovata relazione un modo diverso, un nuovo volto appunto, di intendere l’esperienza giuridica. Siccome l’amore è ciò che assicura “pienezza” alla vita (cosa sarebbe una vita senza amore se non un’esistenza disperata?) e siccome il diritto si occupa della vita, Scagliusi ne deduce la necessaria complementarietà dell’uno rispetto all’altro. “Se lasciassimo ispirare la nostra vita dal lògos–amore – afferma – riusciremmo ad orientare la nostra vita singola e quella collettiva e così plasmare il diritto che è conseguenza di quell’esperienza comune”.
A primo avviso la tesi pare velleitaria. Anche Antonio Incampo, professore di Filosofia del Diritto all’Università di Bari, avverte nella prefazione che “…la conclusione non è semplice come appare…il diritto ammutolisce dinanzi a coloro che sanno amare…”. Del resto, annota Incampo, “…che senso avrebbe la regola nella comunità dei santi? Se c’è la regola, non c’è posto per l’amore…”. Qui sarebbe la norma la misura delle relazioni. “Ma se c’è l’amore, non ha senso la regola…”.
Il diritto, verrebbe da aggiungere, è generale e astratto anche perché non si addica ad una persona concreta, mentre l’amore conosce “il volto dell’altro”. Tutt’altro che astratto.
Allora è utopia quella di Scagliusi? Forse no. Incampo richiama al riguardo la parabola del Buon Samaritano il quale soccorre uno sconosciuto e si impegna per lui a sostenere le spese in albergo, senza averne obbligo e senza prevederne alcun utile.
Negli ordinamenti giuridici, non solo quello italiano, annota Incampo, è sanzionata l’omissione di soccorso. Se incontri qualcuno in difficoltà hai l’obbligo di andargli in aiuto, come spontaneamente ha fatto il Samaritano: “Il fatto sorprendente - dice Incampo - è che il diritto, messo alla prova delle situazioni estreme, fa della carità la sua regola…”. È il momento in cui morale e diritto si incrociano.
Tutto questo serve solo alla speculazione filosofica? No, avverte Scagliusi, perché “…è rilevante che ciascuno interroghi se stesso sulle regole cui ispirare la propria condotta. È un tema che non riguarda solo gli operatori del diritto…”.
Utopismo velleitario? Chissà. Ma certo senza utopie il mondo sarebbe peggiore di come è.
(di Francesco Strippoli, Corriere del Mezzogiorno, 13 dicembre 2022)
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