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Eugenio Scagliusi

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Giuseppe Raffaele Del Drago, patriota e martire?

Giuseppe Raffaele Del Drago, patriota e martire?


Quando ho saputo di questo nuovo Diorama, ho pensato che Carlo De Luca abbia voluto accontentarmi. Nel terzo capitolo di quello precedente, il sedicesimo, Il “rivolgimento” del 1860, racconta la storiella della elezione a deputato del canonico Giuseppe Raffaele Del Drago, nativo di Polignano, eletto al primo parlamento del Regno d’Italia. L’interesse di Carlo De Luca per questa storiella, a quel che lì si capiva, originava dalla epigrafe sulla facciata della casa natale di Carlo, dedicata al Del Drago, dove si legge, tra l’altro, che “…il popolo lo elesse al primo parlamento italiano, la consorteria monarchica lo estromise.” Una storiella effettivamente intrigante, almeno per me che Del Drago – devo ammettere, per quanto polignanese – non ho mai capito chi fosse ed, in verità, non ricordo essermene mai importato granché. Riterrei non sia stata grave, questa mia ignoranza, se non altro perché comune – non me ne vogliano – a gran parte dei miei cari concittadini.

Ebbene, sono certo che Carlo De Luca non si offenderà, né mi toglierà saluto o amicizia se confesso che, in fondo, non mi era mai importato sapere per quale oscura ragione l’eletto venne privato del seggio al parlamento, tantomeno se ne venne effettivamente estromesso da una qualche consorteria monarchica. Solo che la storiella raccontata in quel terzo capitolo rappresentava evidenti scontri tra poteri contrapposti e che, soprattutto, faceva riferimento ad una interessante questione giuridica che aveva attinto il Del Drago. Così, a questo sprovveduto ignorante e disinteressato del nostro parlamentare, quotidianamente impegnato in questioncine legali provando a poco azzeccagarbugliare, parve proprio intrigante apprendere che sullo sfondo della vicenda della ineleggibilità parlamentare di Del Drago v’era anche un particolare caso giuridico. Finanche un conflitto tra poteri, diremmo oggi. Perché l’attenzione dell’ignorante si spostò sul valore e l’efficacia attribuita alle certificazioni provenienti dal vescovo di Conversano, per le quali Del Drago era “canonico” (curatore di anime con obbligo di residenza in Rutigliano) e come tale ineleggibile secondo la disciplina elettorale dell’epoca. Certificazioni che, unitamente ad una sentenza resa a Trani nel 1852, tirata miracolosamente fuori da qualche scranno parlamentare, con la quale Del Drago veniva spogliato di ogni diritto civile, politico, ecclesiastico e del canonicato, costituì base istruttoria per le decisioni assunte dalla Commissione Parlamentare e dal Parlamento stesso. Istruttoria che, per altro scopo, sembra essere stata alquanto sofferta anche per la Gran Corte Criminale di Trani. Insomma, un bel guaio: nel 1852 per il Del Drago, nel 2019 per lo sprovveduto che state leggendo in questo momento.

Ed ecco che al buon Carlo deve essere venuta voglia di accontentarmi e guidarmi alla redenzione. Perché, me tapino, stendendo le considerazioni che Carlo – bontà sua – mi chiese su quel Diorama, ipotizzai inopportunamente se quel rapporto e più in genere la storia di Del Drago potesse mai suscitare interesse in qualche entusiasta giovane studente di storia del diritto italiano ed ecclesiastico. Il fatto è che, forse per mancanza di qualche entusiasta giovane studente, Carlo deve aver ripiegato su se stesso e, ricordando quel mio sciagurato interesse, mi ha coinvolto nel tentativo di capire se l’elezione di Del Drago fosse stata effettivamente annullata ad opera di tal misteriosa “consorteria monarchica”. Ed eccomi qui a parlare di Del Drago, questa volta dopo aver letto in anteprima questo nuovo lavoro di Carlo De Luca.

Che poi, caro Carlo, in effetti la prima cosa che mi è venuta in mente dopo la prima lettura è stata l’insana voglia di chiederti chi te lo abbia fatto fare. E già. Questa volta non ci sarebbe in ballo, come nella precedente occasione, il sacrosanto intento di riabilitare la storia del nostro malandato e malmenato Sud da persona – come Te – innamorata della storia ed innamorata del Sud; piuttosto, mi sembra, ridimensionare le enfatizzate glorie di un personaggio che, tutto sommato, quanto a contributo storico, locale o nazionale, risorgimentale o rivolgimentale che, con Te, si dica, sarebbe rimasto più o meno nell’anonimato. Se non fosse, appunto, per quella antica originaria targa commemorativa e per quella seconda, più recente, che la brama di celebrare i 150 unitari anni ha provato patriotticamente a ravvivare.

E va bene, allora ricordiamo. Diciamo che con questo si sta facendo un favore agli sfortunati residenti di Via Del Drago, specie i più piccoli in età scolare. Sai che casino, per loro, dover rispondere al “…e chi è?”, magari espresso in maniera meno elegante e più volgare? Mica hanno tutti la fortuna, come me, di abitare in Via Giuseppe Mazzini! O mica hanno tutti la fortuna, come me, di avere il numero di telefono di Carlo De Luca per poter scroccare una ricerchina!

Ora, non vorrei sbilanciarmi troppo e riservo, Carlo, alla nostra ruffiana confidenza il mio personale giudizio su questo Del Drago, lasciando anch’io i lettori nel dubbio – un po’ come hai fatto tu – se lo ritenga un romantico donchisciotte o una testa calda possibilmente da evitare, nell’impossibilità di contenere; un “patriota fiero repubblicano” o un “esaltato sovversivo”; un fine letterato o un petulante grafologo; un nobile apostolo, tutore di cittadini e di anime ma avversore della plebbaglia o un perseguitato per colpa dei tempi. Tempi che – è bene ricordare – erano alquanto complicati e nei quali spesso primeggiavano altri social tipo, quali gli Arlecchino servo di due padroni, eccelsi nell’altalenarsi in un periodo in cui non è che si capisse un granché e riuscire a sopravvivere nella confusione generale era un successone, così superando le complicate incomprensibili diatribe torinesi e napoletane e pensando più a salvare la pelle, facendo conveniente tesoro del motto “Franza o Spagna purché se magna”, forse poco nobile d’animo ma certo salvifico di corpo. Ahimè, l’atavico vizio italico di mettersi all’indifferente servizio dell’una o dell’altra fazione pur di barcamenarsi alla men peggio, possibilmente salvando anche un minimo di potere! E che anche lo spirito del Guicciardini mi perdoni, se mai veramente gli si appartenga il secolare motto.

Una cosa è certa, riguardo al nostro, per quanto addirittura il Presidente del Consiglio dei Ministri si sia recentemente affannato a tenere a mente la distinzione tra “episteme” e “doxa”: quella targa, la prima, quella al civico 9 di Via Innocente Tanese a Polignano, andrebbe corretta. Perché di Del Drago, per l’appunto, potremo pur esprimere le più disparate opinioni e raccontarci tutto ed il suo contrario, tranne che sia stato “eletto dal popolo” (che non è vero) al primo parlamento e che “la consorteria monarchica lo estromise”. Il fatto è che la verità storica non si ristabilisce sfasciando simboli e cambiando targhe, per quanto non ne manchino anche recenti esempi, bensì apprezzando il paziente lavoro dei Carlo De Luca che silenziosamente operano in tal senso. Ad avercene, di tanti Carlo De Luca…

Insomma, non ho ancora scritto cosa varrebbe la pena di ricordare del canonico Del Drago. Sapete che c’è? Che – scusate – non ho grande voglia di scrivervelo. Abbiate pazienza, Carlo merita l’impiego del vostro tempo e della lettura. Non è che possiamo trasformare qualche paginetta di presentazione in un bignamino sostitutivo, che più che altro le paginette servono ad incuriosire. Leggetevi il Diorama ed i documenti, perbacco… Però, prima che vi facciate strane idee, qualche briciola, alla Pollicino, ve la lascio. Anche un po’ provocatoriamente, come fossi un pescatore con la sua lenza.

Propenderei per l’idea di un perseguitato per colpa dei tempi, per quanto con una certa predisposizione a tuffarsi nei guai, più che evitarli, a ragione del focoso temperamento. Riterrei anche di dovermi interrogare, magari in un prossimo futuro, come sia stato possibile che la Gran Corte Criminale di Trani, di borbonico gradimento, ne ebbe quasi compassione, facendo di tutto per essere clemente con il comiziante predicatore. Ad avercela, oggi, a Trani, una Corte così tenera ed attenta alla verifica delle prove… Ma questa sarebbe un’altra storia e non posso distrarmi.

Infine, se proprio proprio devo essere sincero, i documenti che il certosino Carlo ha raccolto e qui prodotto, a me rappresentano, in una mia ipotetica sceneggiatura, un personaggio un po’ macchiettista e folcloristico, scaltro affabulatore e – mi perdonino anche i loro odierni estimatori – prototipo grillino. Insomma, se si trattasse di pirati, più un Jack Sparrow che un Capitano Flint; se si trattasse di condottieri, più un Brancaleone che un Massimo Decimo Meridio; se si trattasse di ribelli in carne ed ossa, giusto per capirci, più un Garibaldi, prezzemolo per ogni propagandistica minestra, che un Savonarola finito impiccato e bruciato; se si trattasse di attuali politici…lasciamo perdere, ché già mi sono sbilanciato troppo. Insomma, leggete ed opinate anche voi. Che poi, quello abbiamo avuto, a Polignano, Giuseppe Raffaele Del Drago, mica Luigi Settembrini. E quello ci celebriamo…

Ho scherzato? Forse. Dipende da come interpreterete queste mie considerazioni. A mio parere, per niente. Vedete, ho solo voluto confermare che, in effetti, ognuno ha la sua opinione. Solo che dovremmo provare a cercare la “migliore” opinione, spendendoci nella sua scomoda faticosa ricerca, senza prestare troppa considerazione a targhe e rimembranze che tempi e convenienze impongono e che, invece, dovrebbero indurci alla saggia curiosità dell’investigare con passione. La storia ha bisogno di saggi passionali investigatori. Carlo De Luca lo è. Ma non tutti sono Carlo De Luca. Ed allora, Carlo, resteremo anche noi nel dubbio: ce la mettiamo o no, un’altra targa, vicino la prima, al civico 9 di Via Innocente Tanese? Giusto per evitare che qualche scolaretto diligente, destinato della domanda “…e chi è?”, sia indotto giovanilmente in errore? O ci affidiamo alla stringata ma efficace lezione di tal Ponzio Pilato del “quod scripsi, scripsi”, fiduciosi che la storia riesca, prima o poi, a manifestarsi in tutta la sua verità?

In ogni caso, per quanto non possa immaginare che idea, leggendomi, abbiate di me, sappiate che anch’io ho una folle passione per la storia. Quella che, costruita minuto dopo minuto, azione dopo azione, dalla inconsapevole azione di ognuno di noi, anche la più piccola ed apparentemente insignificante, è mirabilmente inserita in un più ampio disegno, superiore ai nostri più alti studi, pensieri ed immaginazione. È una storia che riesce a prendere brillante colore rendendosi piacevole anche quando apparentemente buia e fosca perché opera di un Artista a noi superiore. Non ci credete? Per forza, si tratta per l’appunto di opinioni. E non ho alcuna intenzione di persuadervi che la mia sia superiore alla possibile diversa vostra. Quanto a Giuseppe Raffaele Del Drago, vi lascio con un ultimo avvertimento, impunemente copiato da Umberto Eco: “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”[1]. Se non vogliamo che resti il puro nome, proviamo a superare le difficoltà di conservare una traccia oggettiva del mondo reale. Carlo De Luca lo ha fatto.

(prefazione al Diorama 17, di Carlo De Luca, Giuseppe Raffaele Del Drago, patriota e martire?, Paginaria Edizioni, Polignano a Mare, Maggi0 2020)



[1] “La rosa all’origine esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi.” È la frase conclusiva del romanzo “Il nome della rosa” e che, come lo stesso Autore spiegò altrove, ha il significato di richiamare l’attenzione al reale, oltre il mero nome delle cose.

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