Carlo De Luca ha una passione non comune: indagare la storia. Ancora
meglio, indagare per ricercare la verità storica. Per raggiungere il suo scopo
Carlo non indugia a bussare alle porte di biblioteche ed archivi, spesso
superando burocratiche difficoltà.
Che strano. Accedere a quei luoghi di ricerca, custodi di libri e documenti
spesso impolverati, è tutt’altro che agevole. Legittime responsabilità ed
esigenze di custodia spesso finiscono con il rendere del tutto inaccessibili
quei luoghi anche ai ricercatori più ostinati e pervicaci. È una delle tante
contraddizioni di questo nostro Paese, dove, dopo aver guadagnato l’accesso
agli impenetrabili luoghi di studio e ricerca, anche poter fare una misera
fotocopia diventa impresa eroica.
Carlo, allora, merita tutta la nostra simpatia prima ancora di apprezzare il contenuto di merito delle sue ricerche. Perché ce lo immaginiamo, rispettoso e silenzioso, nel chiedere permessi ed autorizzazioni; compilare moduli ed esibire documenti di riconoscimento; interloquire con pazienza con custodi ed assistenti bibliotecari; spendersi nella ricerca dei testi di interesse, nella migliore delle ipotesi correttamente indicati nella collocazione, quando non risultino immotivatamente fuori posto; combattere con polvere ed allergie indotte. Non da ultimo, superare la atavica diffidenza nei confronti del “topo di biblioteca”. Non deve essere proprio un caso che, per indicare un assiduo frequentatore di biblioteche, ci si riferisca comunemente al roditore, antipatico ai più.
Cosa abbia nuovamente indotto Carlo a tutto questo – e, per fortuna, a ben migliori fatiche intellettuali – ce lo spiega lui stesso, introducendo questo ultimo Diorama. Carlo non indugia nel fornirne la chiave di lettura: “Cosa realmente accadde tra il 1860 (nascita del Regno d’Italia) e negli anni immediatamente successivi in Puglia, a Bari e a …Polignano?”. E chiarisce subito – quasi a voler evitare polemiche strumentali – che si tratta di una inchiesta documentale.
Eppure siamo persuasi che la ricerca della verità storica, da
sola, non possa valere a sufficienza per reggere lo sforzo. Occorre una spinta
ulteriore, che solo l’amore, l’amore per la ricerca della verità, il forte
desiderio di abbracciare quella verità, può offrire. Quello di Carlo è amore
per il Sud.
Se anche la lettura del testo non bastasse, l’Autore sente il dovere di
precisare, in conclusione, quasi in confessione, il suo desiderio di “…offrire un modesto contributo alla
conoscenza dei fatti risorgimentali attraverso le carte d’archivio, quelle che
parlano il linguaggio della verità…”, un contributo alla “…auspicata sconfitta dei tanti luoghi
comuni, che infarciscono la storia della conquista del sud di circa 160 anni
fa. Un contributo, teso a confidare che un giorno non lontano sia riconosciuto
da tutti e non solo da una parte che l’Italia fu ridotta a stato nazionale
unico a seguito di una guerra ingiusta, non motivata dal pur minimo precedente
atto bellico…Mutarono le condizioni del sud, che dalla sua conquista si
trasformò in una colonia, nonostante l’eroica resistenza di una minoranza di
uomini e donne, definiti briganti e brigantesse…”.
Carlo prende atto con rammarico come la storia si ripeta. Anche a breve ciclo. Non a caso cita gli errori dei “giacobini contro insorgenti”, dei “piemontesi savoiardi” contro la gente del Sud, definiti “affricani del Regno delle Due Sicilie”, al pari di quelli dei partigiani contro fascisti. Dimentica, in verità e ce lo consenta, che la storia italiana ha saputo esprimere anche feroci lotte intestine tra stati e staterelli, tra guelfi e ghibellini e poi ancora, addirittura, tra guelfi bianchi contro guelfi neri. Quasi una genetica indole tipicamente italica di covare risentimenti nelle mura domestiche, lasciandoli esplodere ad occasione. La logica, osserva Carlo, “…è sempre quella di chi, vincendo perché è più forte o perché più astuto, vuole tenere il malloppo tutto per sé”.
A far da sfondo al tenace interesse documentale di Carlo, una questione ancora oggi oggetto di polemiche, che prescinde ed è lontana dalle diverse letture che si possono dare del Risorgimento ed in particolare dell’annessione del Regno delle Due Sicilie a quello Piemontese: questo passaggio, annota Carlo, ha costituito “…un’avventura che portò all’unità d’Italia ma non produsse l’unità degli italiani”.
Perché non si pensi ad opinioni sciolte, frutto della faziosità dello studioso ricercatore, l’Autore offre nel Diorama documenti probanti i sempre fastidiosi – ma non altrettanto sempre deprecati – camaleontismi, opportunismi, piaggerie e cambi di casacca di uomini ed istituzioni, tra insinceri nuovi arruolamenti e vecchi reduci astuti reclamanti lucri e prebende. Certifica il clima di veleni e sospetti, come l’espediente dei plebisciti manipolati per riabilitare discutibili operazioni “manu militari”. Documenta di esecuzioni efferate, fucilazioni e rappresaglie, azioni di dubbia giustificazione persino tra nazioni in guerra, di certo incompatibili con la partecipazione massiccia alla causa unitaria proposta dalla storiografia scolastica. Propone addirittura il caso politico, invero assai intrigante, della mancata convalida della elezione al Parlamento del polignanese Raffaele Del Drago, occasione di scontri tra poteri contrapposti, non solo politici. Un caso che appare ben meritevole di approfondimento da un punto di vista strettamente giuridico, laddove sottende il tema del rapporto e dell’efficacia tra certificazioni di parte (nella fattispecie, proveniente dal vescovo competente) ed un provvedimento giudiziale (nella fattispecie, una sentenza del Tribunale di Trani). Chissà se potrà mai suscitare interesse in qualche entusiasta giovane studente di storia del diritto italiano ed ecclesiastico.
Carlo, proprio come ogni innamorato, è preoccupato. È
preoccupato di superare i pregiudizi ideologici che minano non già alla
interpretazione, ma alla corretta ricostruzione del fenomeno storico. Quei
pregiudizi, a volte subdolamente latenti, a volte grossolanamente manifesti,
che ancora impediscono di leggere, nei manuali ad uso scolastico, che nei
confronti del Regno delle Due Sicilie si perpetrò una vera e propria
aggressione militare, oltre che una mendace ed ipocrita strategia politica,
artatamente posta in essere proprio da chi avrebbe potuto valutare, per
l’Italia, che pure come territorio esisteva da sempre, in sostituzione di una
forzata ed effimera unità reale, la possibilità di una moderna confederazione
che salvaguardasse autonomie e tradizioni territoriali.
Sottoposti a giudizio critico anche Giuseppe Garibaldi e Camillo Cavour. Ed affinché
possa riflettersi sul tema proposto, del primo Carlo De Luca ricorda la frase “quando i posteri esamineranno gli atti del
governo e del parlamento italiani durante il risorgimento, vi troveranno cose
da cloaca”; del secondo “il fine è
stato santo e ciò giustifica i mezzi disonesti cui abbiamo dovuto ricorrere”.
Chi in questo momento le redige, avrebbe potuto concludere queste brevi note sul Diorama di Carlo De Luca con le riflessioni proposte dallo stesso Autore. D’altra parte, è probabile che Carlo abbia scelto il redattore delle note pensando alla comune passione: l’amore per la storia. Se così fosse, ancora una volta ha visto giusto. Perché è opinione di chi scrive che la storia, il variegato e complesso mondo storico, sia creazione continua, agire ininterrotto, proiezione e sviluppo delle molteplici vite individuali.
Vita e storia costituiscono le fondamenta necessarie dell’esistenza: è impensabile non farne oggetto di indagine. Indagare la storia equivale a scoprire l’umano. La storia non è riserva per pochi, ma dinamica proiezione delle molteplici individualità delle persone. Anche degli ultimi o degli sconfitti, dei dimenticati o degli oppressi. Anche loro contribuiscono alla creazione dell’esperienza comune, propria di tutti gli individui impegnati con passione, nel quotidiano, a realizzare la propria vita, a dar seguito alle proprie aspirazioni, a dar voce ai propri ideali e valori. Tutto concorre, attraverso l’azione, a generare il concreto, il mondo reale, la storia, nell’ambito della quale sorgono, si producono, si sviluppano, tutte le vicende umane, dalla politica al diritto, dalla morale alla religione. Non si può prescindere, allora, dall’attenta lettura della storia.
La storia non è che il preciso riflesso di noi stessi, di tutti quanti noi. Converrebbe, allora, acquisire coscienza e consapevolezza che le nostre azioni, durature nel tempo, incidono profondamente sulla storia. Forse varrebbe ad evitare il pericolo dei più nefasti corsi e ricorsi, provando a far tesoro dell’esperienza comune in prospettiva di una unitaria umana esistenza. È un’utopia? Forse. E probabilmente anche l’unità d’Italia lo era e lo è. Ma nel suo percorso scorrono le esperienze individuali – e finanche il sangue – di molti cui occorre dar voce, voce che, flebile e fioca che sia, è bene ascoltare. Perché è bello poter confidare che il futuro possa sempre riservarci il prevalere delle voci – di ogni voce –, il prevalere della cultura del dialogo tra voci, rispetto al rumore di fuochi, rivoluzioni armate, spargimenti di sangue.
L’impegno di Carlo offre una parte di verità nella complessa
ricostruzione dell’accaduto. All’attento lettore l’onere, come nella paziente
costruzione di un puzzle, di
collocare questa parte di verità insieme alle altre, più comuni e celebrate,
alla ricerca della corretta ricostruzione di quell’accaduto.
Sovviene la lezione del retore Simmaco, cui si deve il celebre aforisma “Ad un mistero così grande non si può
giungere per un’unica via”, nel corso dei secoli utilizzato per auspicare
un’ampia ed inesausta riflessione sulla “verità”, sia per quanto riguarda la
meta, sia per quanto riguarda l’itinerario o il metodo della ricerca. Un
auspicio, dunque, che dovrebbe animare chiunque verso la continua ricerca della
“verità”, paziente e collaborativa.
Ma, a conclusione, quasi a mo’ di sfida, ecco la nostra provocazione: chi ha voglia di credere nelle rivoluzioni culturali quali strumento di costruzione della storia?
(prefazione al testo "Il rivolgimento del 1860", di Carlo De Luca)