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Eugenio Scagliusi

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"Spiritualità e politica" (presentazione del libro di Francesco Savino)

"Spiritualità e politica" (presentazione del libro di Francesco Savino)


La storia di questo libro comincia dalla locandina di presentazione. Confesso di non essere stato colpito dalle immagini di Moro, La Pira e Dossetti sulla copertina; né dalla ovvia circostanza di riassumere la loro vita, il loro impegno sociale, la loro vocazione politica, nel binomio “Spiritualità e politica”, facendo così di loro, della loro persona, simboli e testimoni di quel binomio. Ho letto molto altro che riguarda questi tre uomini, al tempo stesso politici e testimoni di fede. La mia attenzione è stata richiamata dalla frase che Francesco Savino ha voluto inserire in basso, sulla destra, nella locandina e – ho scoperto solo successivamente – nella quarta di copertina. Ho scoperto, leggendo, che la frase è inserita nella introduzione del libro. Savino richiama i tre per mostrare, attraverso di loro, “…i pericoli dell’ignoranza reciproca tra lo spirituale e il politico, suggerendo, nel rispetto di altre posizioni, che le due dimensioni possono e devono nutrirsi a vicenda. …”. Nonostante la profondità di questa considerazione, che a me richiama la missione fondamentale che il Concilio affida, nella Gaudium et Spes, ai “fedeli laici”, l’animazione dell’ordine temporale, su cui molto ci sarebbe da dire, Savino continua: “…La mia lettura di queste tre belle figure segue la convinzione di Péguy che ‘la politica si beffa della mistica, ma è ancora la mistica a innervare la politica’…”.

Charles Péguy non è un autore molto conosciuto. Probabilmente non ha avuto buona fortuna a causa dei contrasti e delle critiche che gli rivolgeva il più famoso Maritain. Savino ci guida alla lettura del suo libro attraverso la figura di Péguy, autore molto amato anche da don Luigi Giussani. Péguy aveva come obiettivo primario la riabilitazione del temporale come cuore del cristianesimo. Il cristianesimo si fonda sulla incarnazione, cioè sulla volontà dell’Eterno di salvare il mondo, il tempo (a me piace più utilizzare la parola storia), entrandoci dentro, assumendolo fino in fondo. Se l’Eterno è entrato nel tempo, ogni tempo, ogni istante di tempo, ogni momento apparentemente insignificante di tempo, porta in sé un significato più grande. L’infinito trasforma continuamente il finito, e la miseria umana diventa così, a chi la sa guardare e vivere alla luce dell’eternità, grandezza. Per Péguy vi sono uomini che si illudono di salvare il mondo con il tempo (i socialisti, gli scientisti, tutti quelli che affidano all’uomo, da solo, la salvezza del mondo); ed altri, che magari professano a parole la fede cristiana, i quali non avendola davvero compresa credono di salvarsi dal tempo, rifuggendo lontano, nello spiritualismo, in una fede disincarnata, in un grido di maledizione che rinnega la speranza cristiana. La originalità di Péguy è quella di far risplendere il soprannaturale nel terreno, la presenza di Dio in questo mondo più che la sua trascendenza.

Ecco la straordinaria intuizione di Savino: legare la missione (la vocazione) temporale dell’uomo, del credente, nella parte più alta e tipica qual è quella “politica”, alle tre figure esemplari di Moro, La Pira e Dossetti, tre persone che di quella missione, di quella animazione dell’ordine temporale, dell’entrare nel profondo del tempo (della storia), ne hanno fatto profonda ragione di vita.
Accostarmi alla lettura del testo di Savino attraverso Péguy è stato particolarmente utile. Péguy è stato allievo di Bergson, che – non nascondo – è tra le mie “fonti”, insieme a Blondel, Ollè Laprune, ai nostri Rosmini, Vico. Da qualche tempo ho terminato uno studio che offre una soluzione della vita e della politica proprio nell’infinito, nella trascendenza, nel lògos, con la specificità del passaggio dal lògos dialogo al lògos azione. Savino nella sua introduzione, riferendo il pericolo di slegare “azione” e “contemplazione”, cita Hannah Arendt ed il suo Vita activa.
Ed ecco la tesi del libro attraverso le tre figure: Moro, La Pira, Dossetti, servono alla scopo di Savino di mostrare i pericoli dell’ignoranza reciproca tra lo spirituale e il politico, dimensioni che – come precisa – possono e devono nutrirsi a vicenda. Su ognuno di loro si potrebbero dire tante cose. Mi limiterò all’essenziale, provando a tracciare linee di lettura del testo.

Giorgio La Pira
Savino introduce La Pira dedicando le prime pagine al contesto storico del XX secolo (il secolo “breve”, secondo la definizione dello storico Eric Hobsbawm, per la densità e straordinarietà degli eventi che lo hanno caratterizzato). Una delle caratterizzazioni fondamentali è rappresentata dal difficile percorso per la costruzione della “democrazia”. Così è accaduto anche in Italia, con un percorso favorito anche grazie al contributo di cattolici politici dello spessore di Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Vittorio Bachelet…Giorgio La Pira.
Savino nota come La Pira sia diventato un testimone del Vangelo partendo da posizioni di non credente! La sua conversione nasce dall’ascolto casuale di un canto di lode che lo porta a comprendere di dover assumere un ruolo più incisivo, più concreto, che doveva svolgersi al completo servizio dei fratelli. Così, passa dell’impegno universitario, quasi un luogo di semplice esercizio di conoscenze – dice Savino – ad un impegno oltre i muri dell’università: verso le persone, la città, le città, il mondo.

Prima ancora di aprirsi al mondo ed alla vocazione politica, capì che i suoi studi dovevano allargarsi e comprendere, oltre quelli giuridici, quelli filosofici: la filosofia tomistica, gli scritti dei Padri della Chiesa, la Sacra Scrittura! Prima! Oggi c’è chi si improvvisa alla politica solo perché campione di condivisione e di like sui social.
Nell’aprirsi al mondo, la vocazione di La Pira fu guidata dal versetto del Vangelo di Lc. 14, 21: “…andate per i crocicchi delle strade e chiamate quanti trovate, poveri, ciechi, storpi, zoppi, e conduceteli qui affinché si riempia la mia casa…”. Il suo è stato un impegno che ha sempre avuto il carattere dominante della solidarietà e del recupero dei più emarginati.

A proposito della diffidenza di certi cattolici verso l’impegno politico, La Pira – ricorda Savino – diceva “Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa ‘brutta’! No: l’impegno politico è un impegno di umanità e santità: è un impegno che deve poter convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera e meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità.”
Sono queste ultime le raccomandazioni di La Pira per i cattolici impegnati in politica: preghiera e meditazione, prudenza e fortezza, giustizia e carità.

Giuseppe Dossetti
Anche Dossetti, come gli altri testimoni scelti da Savino, è stato un brillante studente di Giurisprudenza, che si laurea giovanissimo e che diventa docente universitario.
Sono note le differenti visioni politiche tra lui ed Alcide De Gasperi rispetto al ruolo del governo ed a quello del partito, della Democrazia Cristiana. Dossetti riteneva di far prevalere sul metodo della manovra governativa e del patteggiamento di gabinetto il metodo dell’azione organica di partito, formativa e suscitatrice in strati sempre più vasti di uno slancio collettivo vitale e rinnovatore. La DC che Dossetti ha in mente è un movimento di testimonianza del radicalismo evangelico, non un mero partito politico testo a conquistare la maggioranza di governo per garantire la difficile transizione secondo le normali regole della politica.
De Gasperi era favorevole ad una idea di partito secondo cui il governare attraverso il dibattito (government by discussion) si realizza in Parlamento, mentre al partito spetta solo l’agitazione elettorale per la conquista dei seggi in parlamento e per il sostegno dell’opinione pubblica all’azione parlamentare e di governo. Dossetti, invece, era favorevole ad una idea di partito dove si esercita il government by discussion, sottratto al Parlamento, perché lì si va a portare solo la volontà già elaborata dal partito. Una grande differenza sostanziale. Forse ancora più se rapportata ai nostri tempi: qual è il luogo deputato alla formazione della volontà politica, il partito o il Parlamento?

Grazie a Dossetti, la presenza civile dei cattolici nella vita politica italiana viene rafforzata dall’esperienza costituente (contro chi – anche in ambienti ecclesiali – reclamava quasi una Carta “integrale”, una rivoluzione proletaria o il regno di Cristo in terra, dice Savino).
Si parla spesso del contributo dei dossettiani (ironicamente indicati in Parlamento come “il gruppo dei professorini”) alla Costituente. A loro il merito della impostazione personalistica dei diritti di cittadinanza, della fondazione della Repubblica sul lavoro, dei limiti costituzionali ai poteri dello Stato, del rilievo dei partiti moderni come pilastri dello Stato.
Per Dossetti la Costituzione non doveva essere un mero insieme di regole in senso liberale; soprattutto, doveva costituire un atto morale, un documento programmatico, intriso di principi etici e morali, in opposizione al liberalismo classico, considerato troppo formalista. Non a caso, l’elemento cardine e centrale della costruzione è la persona: la persona, prevalente rispetto allo Stato. A Dossetti non interessa la polemica “più Stato, meno Stato”; gli interessa il “grazie allo Stato”. Gli interessa uno Stato dinamico che favorisca le preesistenti relazioni sociali di comunità, che segua la persona umana in movimento. Gli interessa lavorare per una Costituzione che diventi strumento laico di crescita delle relazioni sociali di un paese, con la possibilità di andare oltre la concessione e la carità trasformando le conquiste sociali di ciascuno o di ciascuna categoria in un bene di tutti. Bene comune, per l’appunto.

Tutta la vita di Dossetti è un rivendicare il modo di essere e di vivere rispetto a quello di operare. Non è possibile comprendere la sua azione politica trascurando il suo riconoscere il primato del bios teoretikòs sul bios politikòs, della vita contemplativa sulla vita attiva, della vita orante di ricerca e di studio sull’azione, in modo da diffondere tra i laici cristiani una formazione ed un pensiero che stia a monte dello stesso pensiero socio politico. Non a caso Dossetti rivendica il primato dell’uomo interiore, riconoscendo il valore della vita monastica quale diverso modo di intendere la presenza del cristiano nel mondo, tra la fede e la storia.

Aldo Moro
In questi miei appunti sul libro di Savino, ho invertito l’ordine: Savino parla prima di Aldo Moro, poi di Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti.
Savino esordisce su Aldo Moro descrivendolo così: cristiano per scelta, leader per vocazione.
Parlare di Aldo Moro è complicato. È stato uomo politico, statista, docente universitario, educatore, uomo di cultura, cristiano impegnato in politica. A me personalmente dispiace che si parli più del suo rapimento, che delle sue iniziative ed intuizioni politiche; meno che mai dei suoi insegnamenti.

Moro aveva una profonda vocazione politica, ma ispirata dalla fede. Nella sua vita, pubblica e privata, compare sempre l’aspetto della sua dimensione di fede.
Si potrebbero dire tante cose su Moro. Forse ne basterebbe una, fondamentale: il suo collocare, sempre, nella sua riflessione, nella sua azione, da ogni punto di vista, la persona al centro. Non poteva che essere così, per un giovane che, nel particolare contesto storico della vigilia della II guerra mondiale, proponeva come tema di studio quello dell’umanesimo cristiano, tema legato all’umanesimo integrale di Maritain, il cui testo era stato pubblicato nel 1936. Quella visione, la persona al centro, ha guidato ed ispirato tutta la vita ed il percorso di Moro, sempre.
In maniera coerente e conseguente, l’esigenza di Aldo Moro è stata sempre quella di porsi e calarsi interamente dentro la storia degli uomini. Una visione a lui molto cara, elaborata attraverso lo studio di autori tra le sue fonti privilegiate, Vico e Blondel.

Se si volesse riassumere la vita di Aldo Moro in poche battute, si dovrebbero annotare la grande esigenza di formazione, per sé, prima ancora che per gli altri e per poter educare gli altri (non volle mai cessare il suo impegno universitario, continuando sempre agli incontri di lezione con gli studenti), nonché la centralità della persona, il porre la persona, l’individuo, sé stessi, dentro la storia degli uomini.

* * *
In conclusione, cosa accomuna i tre “testimoni” di Savino? Il riconoscere il primato dell’uomo interiore.
Quando si parla di impegno dei cattolici in politica, a mio parere si commette spesso un errore: si parla di “eredità” dei cattolici in politica. Come se si trattasse di un percorso finito, morto. A mio parere si tratta di un errore metodologico; direi addirittura ontologico, che riguarda profondamente l’essere. Perché l’impegno dei cattolici in politica non può essere oggetto di eredità per il semplice motivo che non può morire, costituendo – invece – l’essenza tipica, la caratteristica genetica, imprescindibile della loro vocazione: l’animazione dell’ordine temporale, in ogni sua manifestazione, compresa la forma più alta di animazione temporale rappresentata dall’impegno politico.
Si legge poco. Molto poco. Meno che mai se si tratta di “saggistica”. Personalmente sono convinto che sull’impegno dei cattolici in politica si sia, invece, scritto troppo. Perché dopo la frase contenuta nei documenti conciliari che affida l’animazione dell’ordine temporale in capo ai fedeli laici, quantomeno non doveva più esserci modo di dubitare l’urgenza e l’essenzialità di questa missione. Invece, molti continuano a storcere il caso.
Cosa è mancato, ben oltre le tonnellate, pagine e pagine di volumi, di convegni e di dibattiti? Cosa è mancato, dunque, nonostante gli approfondimenti teorici e dogmatici pure ci siano? A mio parere una cosa. Una cosa sola: la concretezza della testimonianza. Il saper trasformare valori di riferimento in azione di vita, in responsabilità, in storia, con assunzione diretta di questo specifico impegno missionario. Non sono mancati – certo – i tentativi; purtroppo molti sono risultati infelici, con risultati devastanti per il mondo cattolico.

Dunque, il grazie sincero a Francesco Savino è sì quello di averci proposto tre esempi nobili, tre testimoni esemplari, che di questa missione ne hanno fatto ragione di vita; soprattutto, è quello di aver accentuato il carattere di “uomini di fede” di questi tre esempi. Profondamente politici, perché profondamente cattolici. La loro fede, porta alla politica. Non il contrario, quando molti – purtroppo – sono pronti a strumentalizzare la buona fede dei molti, tanti, cattolici.
Il lavoro di Savino apre una riflessione. Quale soluzione per il decadimento della politica? La risposta, anch’essa in due parole, particolarmente profonde e che richiederebbero altri studi, riflessioni, dibattiti, è imparare a “stare nella storia”. Servono cattolici veri e seri. Dove sono? Ce li avete? Ovunque collocati negli schieramenti politici, ma veri e seri, cioè coerenti con la fede che professano. Coerenti, attenti e preparati. Cerchiamoli e favoriamoli. Ma lontani dal web, che ormai trasferisce direttamente in Parlamento comuni leoni da tastiera. Nel frattempo…cominciamo con il far tesoro dello studio del libro di Savino.

P.S.:
Francesco Savino nel suo intervento conclusivo ha richiamato l’esigenza preliminare di prestare attenzione alle parole, recuperando quella che ha chiamato “etica delle parole”. Lo ha fatto chiedendo attenzione sulla parola “politica”, sulla significazione del termine. Ha precisato che “…occorre rendere la politica parte centrale della nostra fede…” e che è sempre più necessario spendersi per una “…politica generativa che vada oltre l’economia e la tecnica…”.
I cattolici sono scomparsi. Invece è necessario che tornino all’impegno politico, ma recuperando il senso della spiritualità di questo impegno. Perché, secondo la tesi ispiratrice del libro, la politica è sì laica, ma richiede una profonda spiritualità. Con tre caratteristiche essenziali che richiedono al politico, tanto più al cattolico impegnato in politica: competenza, umiltà, moralità.

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