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Dante Alighieri, esule politico

Dante Alighieri, esule politico


Il pensiero politico di Dante Alighieri è comunemente occasione di polemiche. Spesso il Poeta viene addirittura strumentalizzato quale alfiere di un’idea di Stato “laico” o, peggio, modello di anticlericalismo da imitare. Per quanto indiscutibile fosse la sua acrimonia nei confronti dei pontefici del suo tempo, tra tutti Bonifacio VIII e Celestino V (pur considerato un santo dai contemporanei ed effettivamente canonizzato nel 1313), collocato nella Commedia nella categoria degli ignavi, particolarmente detestata dall’Autore, che li giudica come mandanti ideali – diremmo – del suo esilio politico da Firenze, si trattò certamente di un dissenso giustificato proprio dal ritenerli vicini a coloro che lo avevano cacciato. Fu per primo Benedetto XV, nella sua In praeclara summorun del 1921, ad invitare a “…compatire un uomo tanto sbattuto dalla fortuna…”, che “…se con animo esulcerato irruppe talvolta in invettive che passavano il segno…”, poteva giustificarsi perché esasperato nella sua ira “…da avversari politici sempre propensi ad interpretare tutto malignamente…”.

Sarà, forse, per questa singolare concordanza con il tempo presente, caratterizzato da dialettiche politiche spesso strumentali e meramente populistiche, che ci uniamo nella condivisione di chi ritiene Dante così devoto alla Chiesa che, nonostante ciò che in quel tempo potevano esserle contestate, non venne mai meno alla fede di cui essa è depositaria in custodia. Lui stesso definisce la fede come “…cara gioia (gemma preziosa) sopra la quale ogni virtù si fonda…” e che “…come stella in me scintilla…” (Paradiso, XXIV, 89 e 146). Piuttosto, Dante utilizza la sua arte poetica per compiere utilmente la nuova vocazione politica di aiutare “i viventi in questa vita da uno stato di miseria e condurli a uno stato di felicità”, come lui stesso – ricorda Francesco – scriveva nell’Epistola a Cangrande della Scala (in Candor lucis aeternae, par. 2).

Guelfo di parte bianca, nonostante i dissidi profondi con la sua città, non perse mai la speranza di ritornarvi dopo avervi rivestito importanti cariche pubbliche ma esserne stato esiliato. Le due passioni, la poesia e la politica, contrassegnano la personalità dell’Alighieri, che dalle delusioni e sofferenze profonde dell’esilio crea la sua straordinaria opera letteraria, in grado di sublimare delusioni e sofferenze in un cammino, interiore ed esteriore, mai domo fino alla meta, alla felicità, al desiderio ultimo costituito dalla visione dell’Amore che è Dio. Ecco la lezione politica di Dante: mai rassegnarsi alle avverse condizioni, all’ingiustizia, finanche all’arroganza del potere, in vista del raggiungimento di quell’obiettivo finale. Un programma di vita esortato a più riprese nel suo viaggio letterario.

Nella sua lettera apostolica Francesco non perde occasione di evidenziare come l’intento di Dante, criticando quei credenti, Pontefici o semplici fedeli, che tradiscono l’adesione a Cristo e trasformano la Chiesa in uno strumento per i propri interessi, dimenticando lo spirito delle Beatitudini e la carità verso i piccoli e i poveri e idolatrando il potere e la ricchezza, sia quello di invocare un profondo rinnovamento dell’Istituzione, invocando la Provvidenza affinché lo favorisca e lo renda possibile (par. 3).  Del resto, già Paolo VI, nella sua Altissimi cantus, dedicata a Dante nel sesto centenario della nascita, aveva ricordato come nel pensiero del Poeta Chiesa ed Impero fossero due “potestà” ordinate entrambe da Dio per condurre gli uomini alla felicità, “…la prima quella celeste, il secondo quella terrena…”, felicità per il cui raggiungimento “…esse devono aiutarsi reciprocamente…” nel comune “…servizio della ‘res publica christiana’…” (par. 34). Senza mai pensare che “…la città terrena deve essere radicalmente separata dalla Chiesa…” (par. 36).

La figura di Dante, esule politico pur sempre affidato alla speranza, rappresenta anche oggi il senso della fatica quotidiana di ognuno di noi, preso, occupato e quasi perso nella storia a cercare una felicità finale che sembra sempre sfuggirci nonostante ne siamo perennemente attratti, affannandoci nell’azione. Quale immagine descrive meglio questo percorso di vita, se non quello dell’attraversare e perdersi nelle tante selve oscure presenti e dalle quali provare ad allontanarsi per raggiungere ciò che, infine, tutto muove? L’opera di Dante, anche in rapporto alla sua esperienza personale, sembra configurare un accorato appello a rinnovare ogni aspetto della società, a migliorare questa “…aiuola che ci fa tanto feroci…” (Paradiso, XXII, 151), ad orientarci verso “…il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia…” (Inferno, I, 77 – 78). Dunque, laddove si voglia finanche superare l’allusione religiosa, a puntare sempre verso mete più alte e nobili attraverso la ricerca dell’amore nella quotidianità.

Mentre siamo ancora in piena emergenza pandemica, rileggere Dante pensando al suo aver vissuto da esule politico, circostanza influente la sua vita e la sua opera, può aiutarci a scoprire la nostra condizione di esuli in cammino dalle difficoltà alla felicità, dalla miseria alla serenità, dal disordine verso la saggezza, riscoprendo una passione civile che sia animata dalla costante ricerca del buono e del bello. La vita come “commedia” in cui – come pare lo stesso Dante spiegasse a Cangrande della Scala – quel titolo rappresenta la bellezza della conclusione, l’ascesa verso il fine ultimo, colmo di gioia e di speranza, in un percorso che, inizialmente pauroso, faticoso e perturbato, si conclude felicemente.

In fondo, dovremmo essere tutti soddisfatti per le sfortune politiche di Dante: non avremmo potuto godere della sua ingegnosa maggiore opera laddove, senza la condanna all’esilio, avesse proseguito la sua carriera politica fiorentina. Un motivo in più per credere ed imparare a cogliere la positività anche dalle peggiori sofferenze. Ed un motivo in più per fortificarci nell’opinione che le occupazioni terrene – l’animazione del mondo temporale – non possano non accompagnarsi in parallelo a quelle spirituali e che debbano alimentarsi e realizzarsi vicendevolmente.

(pubblicato nelle rivista bimestrale "Vivere In", 2/2021, pagg. 10 - 11)

https://www.edizioniviverein.com/shop/bimestrale-vivere-in-2-2021/

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