(dalla aletta della terza pagina di copertina)
In Carlo De Luca v’è una passione amorevole per la ricerca storica documentale. Questa sua ultima, si indirizza al cuore della storia: alle persone. Anche agli ultimi. Perché anche loro, con le loro vite, mai anonime, ne sono protagonisti; sia della loro storia personale, sia della storia di chi gli si accosti a qualunque motivo, così riversandone gli effetti, mescolandosi ed integrandosi.
Le persone, prima ancora che i loro luoghi, sono i protagonisti della ricerca. Le persone che sopravvivono alla caducità del tempo, più che nelle genealogie, nei cromosomi. Siamo anche ciò che altri sono stati prima di noi. Ne custodiamo i germi, più o meno celati o palesi. E chi è stato prima di noi, ci identifica a lungo nella comune considerazione sociale, fino al raggiungimento di una autonoma distinta caratterizzazione.
Ognuno di noi è stato indirizzato dalla dialettale traduzione del “Chi fuor li maggior tuoi” che Dante pone sulla bocca del ghibellino Farinata degli Uberti: “M:nì…a ci appartìn…?” A chi appartieni rende più del chi sei. La domanda è finalizzata a conoscere l’interlocutore – e, perché no, a volte le sue posizioni politiche, proprio come nell’episodio raccontato da Dante – attraverso l’individuazione della sua famiglia. Magari confidando di cogliere nelle origini familiari, in quel dantesco maggiori, più che gli antenati, i responsabili della formazione morale e culturale.
Carlo De Luca sa bene che la storia di ognuno è cammino continuo, perenne costruzione identitaria in un complesso di relazioni che si intrecciano. Sta a noi, nel percorso, cogliere e radicarci in quelle maggiori, non limitandoci alla mera genealogia. Non lasciamoci trascinare dal fiume vorticoso della mera curiosità; piuttosto, la ricchezza contenutistica della ricerca di De Luca ci induca ad ispirarci ai nostri maggiori affinché storie ed esperienze individuali diventino patrimonio della Comunità.