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Un bimbo, due papà: storie di Corti e di diritto vivente. | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Un bimbo, due papà: storie di Corti e di diritto vivente.

Un bimbo, due papà: storie di Corti e di diritto vivente.


Può un bambino avere due papà? Sembra che là dove non possa la natura, possano le tecniche di laboratorio e qualche sentenza. Alla Corte Costituzionale il compito della risposta definitiva all’esito di una richiesta formulata dalla Corte di Cassazione, adita a seguito della richiesta di due cittadini italiani che, coniugati in Canada con matrimonio trascritto nel registro delle unioni civili nel 2017, avevano chiesto il riconoscimento di entrambi come genitori di un minore nato sempre in Canada con la tecnica della “maternità surrogata”.

La maternità surrogata è una gestazione per altri, con la fecondazione avvenuta tra un ovocita di una donatrice anonima e i gameti di uno dei due interessati, con successivo impianto dell’embrione fecondato nell’utero di una diversa donna, non anonima, che porta a termine la gravidanza fino al parto.

Nel caso in esame, al momento della nascita le autorità canadesi avevano indicato nell’atto di nascita un unico genitore, senza nominare la donatrice dell’ovocita e la madre gestazionale. L’atto di nascita veniva poi trascritto in Italia. Successivamente i due interessati ottenevano una sentenza in Canada con la quale si dichiaravano entrambi genitori del minore, con conseguente modifica dell’atto di nascita. Presentata la richiesta di rettifica in Italia, il competente ufficiale di stato civile la rifiutava e gli interessati promuovevano il giudizio con il quale chiedevano l’esecuzione in Italia della sentenza canadese.

Questa è la breve storia di un bambino con due papà. Forse…perché il finale non è ancora scritto, scontrandosi la richiesta dei cittadini interessati – a giudizio della Cassazione, che sulla questione ha investito la Corte Costituzionale (ordinanza di rimessione n. 8325 del 29.04.2020) – con la normativa italiana vigente, che non consente una forma di riconoscimento del legame di filiazione alternativa alla trascrizione dell’atto di nascita o al riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero che instauri un legame di filiazione tra il bambino nato mediante ricorso all’estero con la pratica della gestazione per altri ed il genitore intenzionale (non biologico), richiesta che sarebbe giustificata proprio dall’unione tra questo ed il genitore biologico.

Due padri per un bambino. Dove non può la natura, si cercano soluzioni alternative, anche contrarie alle norme vigenti. E già. Perché la pratica della “maternità surrogata” in Italia è vietata dalla legge n. 40 del 19.02.2004 (art. 12, comma 6), che però si elude rivolgendosi all’estero, come la stessa Corte di Cassazione aveva annotato non più di un anno fa (Sezioni Unite, n. 12193 del 08.05.2019). Che si fa se i due genitori contraenti del contratto di surrogazione della maternità all’estero chiedano la trascrizione dell’atto di nascita nell’anagrafe italiana? Lo scorso anno la Cassazione aveva posto in rilievo il preminente interesse del minore e della dignità delle donne coinvolte, sia quella pagata per portare a termine la gravidanza sia quella pagata (con rimborso spese. Rimborso spese? Quali spese...boh…) per fornire gli ovociti. Ed anche recentemente la stessa Cassazione (sentenza n. 8029 del 22.04.2020) ha escluso che due donne, servitesi all’estero della fecondazione eterologa, possano essere riconosciute in Italia entrambi come madri.

L’evoluzione della giurisprudenza, riconoscendo il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico (come pacificamente dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione), da un lato riconosce che il dato della provenienza genetica non costituisce un requisito imprescindibile della famiglia; dall’altro lato riconosce che la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e formare una famiglia non implica che esse possano esplicarsi senza limiti. Dunque, l’attenzione si sposta sui limiti, sulla misura, sulla natura, sulla estensione della libertà e della volontarietà: dai limiti pur previsti dalla legge n. 40/2004, che vengono oggi sottoposti alla Corte Costituzionale, a quelli che vanno ben oltre la legge positiva, appartenendo alla spesso più complessa legge naturale. Sono puri e naturali limiti di libertà, nel senso che, come per molte altre circostanze, al fondo v’è l’umano conflitto tra il ritenersi privi di vincoli – anche con comportamenti antagonistici – ed il riconoscere una misura alla insoddisfazione rispetto ad ogni personale desiderio o interesse. Una questione decisamente morale.

Trasferire il dibattito della estensione dei diritti e, soprattutto, delle proprie libertà sul piano morale equivale a passeggiare su di un campo minato. A giudizio di alcuni il principio di libertà si estende fino a garantire la più ampia autodeterminazione, al punto che ognuno possa scegliere come agire a proprio piacimento, secondo proprie aspirazioni. Una sorta di libertà assoluta che non tiene conto di altro se non della propria coscienza e volontà, escludendo ogni condizionamento derivante dalla esperienza comune, generatrice di diritti e di limiti.

Sfugge come esistono valori e questioni di fondo che anticipano le norme positive, richiedendo essere primariamente affrontate e risolte nell’ambito di un sereno, profondo e rispettoso confronto culturale che sappia tener conto delle diverse opinioni, desideri ed interessi in rilievo. È il farsi dell’esperienza nel corso della storia, naturale svolgersi della esistenza: quello che conferisce dignità e rilievo maggiori ad alcune esigenze piuttosto che ad altre a motivo delle sempre mutevoli condizioni sociali. La dinamica esistenza tende ad ampliare e non restringere le libertà individuali, che si allargano oltre le ristrette egoistiche soluzioni di parte però contemperandosi nelle libertà altrui e collettive. Le libertà individuali non possono non tener conto delle libertà altrui e del loro percorso di condivisione. Libertà non significa arbitrio del singolo, quanto piuttosto responsabilità di ciascuno di proporre la propria visione nell’ambito di una comune ricerca e crescita. Ancora di più, quella dell’uomo non è una libertà che si crea da sé, perché l’uomo oltre che volontà sua propria è anche natura, natura certo non autocreatrice. 

Il caso della “maternità surrogata” si presenta proprio come una anomala forzatura frutto di interessi personalissimi ed egoistici di una coppia, il cui desiderio di riversare il proprio pur diverso amore di coppia in quello familiare attraverso la crescita e l’educazione di una nuova creatura (anche volendo prescindere da ogni giudizio su questo diverso amore di coppia), dopo un primo scontro con la natura umana, superato in laboratorio, urta con la solidarietà sociale che – invece – altri strumenti, quali l’adozione o l’affidamento pur temporaneo, consentono. Quella solidarietà che consente una famiglia a bambini che ne sono privi o che non godono di adeguata assistenza materiale e morale. Quella solidarietà che appare superiore rispetto all’interesse di chi, pur consapevole della impossibilità fisiologica della filiazione tra persone dello stesso sesso, sembra non soddisfarsi dell’amore di coppia liberamente scelto, chiedendo un frutto materiale al proprio amore che, però, crescendo, subirà senza libertà di scelta – perché altri l’hanno esercitata per lui – la privazione di un padre o di una madre. Per quanto possa trattarsi di condizione non impeditiva di una crescita sana e corretta, a parte ogni altra possibile osservazione appare stridente il contrasto tra l’esercizio di una propria libertà e la privazione di una libertà altrui, conseguenza diretta della prima.

Un desiderio, quello della coppia, che contrasta anche con la più comune opinione a fondamento antropologico che giudica negativamente la mercificazione del corpo umano. Che strano mondo è quello in cui il trapianto di organi vitali è reale donazione, gratuita ed anonima, invece un utero può costituire merce di scambio, oggetto di utilizzo da parte di terzi, oggetto di una obbligazione a pagamento! Anche in questo caso si realizza un esercizio di libertà, quello di acquisire a pagamento un diritto, incidendo sullo stato di bisogno – dunque di mancanza di libertà – di una terza persona.

Il confronto culturale è sia sul tema della possibilità e capacità genitoriale di persone dello stesso sesso, sia sul tema della vera e propria filiazione tra persone dello stesso sesso attraverso tecniche biologiche. Perché da tempo l’evoluzione giurisprudenziale (e non ancora le legge italiana, si badi bene) ha riconosciuto alla coppia omosessuale l’adozione del figlio del partner, che ha lo scopo di favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e le persone che già si curano di lui (il “genitore sociale”). Tuttavia, vi è un importante arresto giurisprudenziale determinato, anche per adozioni tra coppie omosessuali riconosciute da sentenze straniere, dalla nozione di ordine pubblico, cioè dell’insieme dei valori fondanti dell’ordinamento statuale in un determinato momento storico, pur tenendo conto del superiore interesse del minore.

La citata sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione dello scorso anno (n. 12193/2019) ha precisato come la valutazione di compatibilità con l’ordine pubblico va effettuata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui tali principi si sono incardinati sia nella disciplina dei singoli istituti sia nella interpretazione che la stessa giurisprudenza fornisce attraverso l’opera di sintesi e ricomposizione che costituisce il diritto vivente, dal quale – dunque – non si può prescindere nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico.

Il confronto culturale, in definitiva, è il luogo delegato alla genesi della comune nozione di ordine pubblico, di cui le Corti possono tener conto nell’elaborazione del diritto vivente, cioè della comune opinione riconosciuta in ordine al significato ed all’applicazione delle norme di diritto positivo.

Il confronto culturale è lo strumento idoneo alla costruzione di strutture di libertà condivise nelle quali tutti possono scoprire il senso profondo della propria esistenza e della vita comune. Quella che indurrebbe a privilegiare alcune scelte, maggiormente solidali, rispetto ad altre, tipicamente egoistiche.

Partecipare ed animare il confronto culturale, in ogni tempo, occasione ed argomento che riguardi la umana esistenza, è dovere di ogni cittadino che senta il dovere di contribuire al formarsi di quella esperienza comune che condiziona, al fine, le strutture della società civile, generando diritti e libertà.

Chi senta il disagio delle nuove frontiere tipiche dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, non può desistere dal partecipare ed animare. È sempre il momento della presenza, dell’azione, dell’incidenza nella storia.

(pubblicato nella rivista bimestrale "Vivere In", 4/2020, pag. 17 - 20)

https://www.vivere.in/2020/09/rivista-vivere-in-n-42019-2-2-2-2/