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Ambiente e diritti umani: responsabilizzazione e responsabilità sociale d’impresa. | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Ambiente e diritti umani: responsabilizzazione e responsabilità sociale d’impresa.

Ambiente e diritti umani: responsabilizzazione e responsabilità sociale d’impresa.


Responsabilità Sociale d’Impresa, sostenibilità, prospettive di lungo termine e interessi degli stakeholders sono parole diventate ritornello diffuso in materia di governo delle grandi imprese, chiamate a maggiori attenzioni sui temi dell’ambiente e dei diritti umani, sui quali si registrano sensibilità sempre più crescenti nella più comune opinione pubblica internazionale. Le maggiori sensibilità riverberano effetti nelle legislazioni, che hanno la funzione di cogliere le esigenze sociali e trasferirle in regole che le disciplinino e le tutelino.

Un caso di particolare interesse è costituito da una recente proposta di Direttiva Europea (del 23 febbraio 2022), finalizzata ad introdurre negli ordinamenti nazionali nuove regole in materia di comportamenti socialmente responsabili delle imprese in tema di impatti negativi su ambiente e diritti umani. Si vuole, cioè, incidere sulle regole che governano le grandi imprese affinché possa offrirsi una maggiore attenzione su tali temi – e, di conseguenza, tutela – agendo sui poteri e sulle responsabilità degli amministratori e favorendo la partecipazione ai processi decisionali di tutti coloro che a vario titolo sono “vicini” all’impresa (c.d. stakeholders).

Il tema della Responsabilità Sociale d’Impresa, declinato quale attitudine dell’impresa ad assumere un comportamento responsabile sul piano sociale, richiama un dibattito secolare, cercando – ora con maggiore prepotenza – di inserirsi nei tradizionali tentativi di funzionalizzare l’impresa al perseguimento di fini ulteriori o esterni rispetto a quello dei soci. In altre parole, si vuole individuare nuove regole che rendano quanto più compatibili la tradizionale finalità lucrativa, proprie dei soci, con interessi socialmente rilevanti, imponendo un generale dovere di diligenza in tutte le politiche aziendali, al fine di individuare, prevenire, attenuare gli impatti negativi su ambiente e diritti umani.

Vi sono già importanti studi sulla natura delle pratiche di Responsabilità Sociale d’Impresa quale fattore e strumento per il successo imprenditoriale e lucrativo, ovvero quale semplice obiettivo autonomo ed ulteriore da coordinare con quest’ultimo; ugualmente ampio il dibattito sulla sostanziale incompatibilità fra il concetto di condotte socialmente rilevanti e obblighi di tipo normativo o contrattuale, nonché sulla difficile convivenza e sul conflitto fra interesse degli azionisti alla massimizzazione del profitto e il perseguimento di istanze etiche o “altre”.

In questo contesto, la proposta di Direttiva comporterà l’indagare sul rinnovato rapporto fra agire etico e responsabilità giuridica, dunque la perdurante validità dell’idea secondo cui l’adozione di comportamenti eticamente responsabili non comporta solitamente assunzione di responsabilità giuridica, nonché interrogarsi sulla possibile contraddizione in termini fra strategie e interessi imprenditoriali e adempimento di istanze etiche.

Forse potrà segnarsi un passaggio da un approccio alla Responsabilità Sociale d’Impresa meramente volontaristico ad uno declinato in termini di cogenza, obbligando l’impresa a divenire socialmente responsabile. Come dire che si potrà probabilmente parlare di passaggio dal concetto di responsabilizzazione a quello di responsabilità delle imprese; dunque, da una fase meramente inclusiva ad una attuativa di tematiche socialmente rilevanti, traslando l’attenzione dal piano degli interessi perseguiti dall’impresa a quello degli interventi strutturali sulla sua organizzazione e sui poteri dei gestori. Sfida affidata al “diritto societario”, che sembra finalmente aprirsi a nuovi orizzonti disciplinari, alla ricerca di un equilibrio fra multiformi interessi. Sullo sfondo, l’eterno dibattito tra diritto e morale, tra ius e lex, e se ed in quale maniera le condotte debbano seguire regole positive o ne possano prescindere (o superarle) con affidamento a valori superiori e presenti nella storia dell’uomo.

Nel caso della proposta di Direttiva Europea qui richiamata, le legislazioni saranno chiamate ad obbligare l’impresa a strutturare i nuovi assetti organizzativi, amministrativi e contabili, i piani strategici ed industriali delle imprese, avendo cura di tutelare ambiente e diritti umani. Una vera e propria rivoluzione che condurrà a positivizzare, cioè a rendere norme di legge, le rinnovate esigenze etiche, obbligando (forse?!) gli amministratori della moderna impresa alla ricerca di una costante mediazione fra esigenze poliedriche.

Esistono esperienze legislative già mature; altre in fase di approfondimento. Gli Stati Uniti registrano già una centenaria attenzione alle tematiche di responsabilità sociale d’impresa. Francia e Germania hanno già introdotto obblighi di diligenza in materia di diritti umani e ambiente; Belgio, Olanda, Lussemburgo e Svezia prevedono di farlo nel prossimo futuro; come anche la Spagna, da sempre particolarmente attenta al recepimento di istanze eticamente rilevanti ancorché volontaristiche e non obbligatorie.

Per quanto al momento vi sia una semplice “proposta di Direttiva”, ben suscettibile di modifiche ed integrazioni, anche rilevanti, sta di fatto che emerge la sfida ambiziosa che il mercato e la comune coscienza richiedono all’impresa: la ricerca di equilibrio fra i multiformi interessi di cui è portatrice e che, nel loro complesso, potrebbero rappresentare un valore aggiunto per l’impresa stessa, favorendone la crescita economica e lo sviluppo sostenibile. Lo strumento da utilizzare è, dunque, intervenire con nuove regole di “diritto societario”.

Appare significativo come l’interesse del legislatore comunitario sia effettivamente conseguenza di una diversa attenzione della comune coscienza su temi socialmente rilevanti, quali quelli dell’ambiente e dei diritti umani, a conferma di come le leggi e ciò che comunemente chiamiamo “diritto” siano conseguenza del nostro agire. Già molti anni fa, un Maestro del diritto, Salvatore Satta, annotava come “…tutti viviamo giuridicamente anche senza aver mai aperto il codice, e vivendo continuamente creiamo diritto e nell’atto stesso del porlo lo conosciamo…”. La comune coscienza, richiamando responsabilità etiche, naviga verso la costituzione di responsabilità giuridiche. Il mondo delle leggi e del diritto si adegua alla crescente complessità delle istanze sociali.

Rendersi artefici costruttori di diritto non è riserva per chi, a vario titolo, opera nel mondo della giustizia, avvocati, magistrati, notai, dirigenti e funzionari amministrativi, docenti di diritto. Compete, invece, ad ognuno di noi adoperarsi affinché la vita di ogni giorno si caratterizzi e sviluppi attraverso modelli etici che valgano a migliorarne la condizione di tutti, con la costante ricerca di equilibrio tra esigenze contrapposte. La ragionevolezza costituisce il metodo ed il cuore della civica convivenza. Il buon senso potrà anche non avere fonte normativa, ma vive anche nell’esperienza giuridica cui tutti partecipiamo.

di Michelangelo Scagliusi, dottorando di ricerca in Diritto Commerciale, Università di Bari

(pubblicato nella rivista "Vivere In", 4 - 4/2022, pag. 24 - 25

https://www.vivere.in/2022/09/rivista-vivere-in-n-52020-2-2-2-2-2-2-2-2-2-2/