Deprecated: mysql_connect(): The mysql extension is deprecated and will be removed in the future: use mysqli or PDO instead in /home/mhd-01/www.eugenioscagliusi.it/htdocs/libreria/php/database.5.inc.php on line 32
Perchè no ai "DICO". | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

segui
Eugenio

Perchè no ai "DICO".

Perchè no ai "DICO".


Si dice che le leggi si limitino a recepire le istanze che, in un dato momento storico, provengano dalla coscienza civile, dalla società. Il diritto, però, ha il fine di garantire risposte, pubbliche, a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata, come invece sembra trattarsi della esigenza di legalizzare le unioni omosessuali.

Sembra questo, in realtà, il vero fine del disegno di legge di provenienza governativa (Consiglio dei Ministri 08.02.2007, Governo Prodi II), denominato Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (DICO), redatto dagli staff legislativi dei due Ministri Barbara Pollastrini (Pari Opportunità) e Rosy Bindi (Famiglia), presentato nel Febbraio scorso (2007) all’esame del Senato della Repubblica. A seguito di una vivace dialettica politica, il disegno di legge è stato subito ritirato. Non per questo è terminata la dialettica politica sul testo; tanto più che la volontà politica del Governo è per la riproposizione del testo, magari con modifiche.

Che il vero fine di coloro i quali sono favorevoli alla proposta sia, in realtà, quello di legalizzare le unioni omosessuali si evince subito, fin dall’art. 1 del vecchio testo. Lì si dichiara espressamente che si intende garantire diritti e doveri alle persone stabilmente conviventi, anche a quelle dello stesso sesso.

La precisazione non è affatto casuale. I critici, infatti, accusano come il nostro ordinamento già garantisca, in varie forme, i diritti ed i doveri delle coppie di fatto, praticamente equiparate alle coppie legali, cioè quelle unite dal matrimonio. Sicché, la precisazione è sicuramente finalizzata ad estendere i riconoscimenti in questione in favore anche delle unioni omosessuali.

La proposta di legge, dunque, sembrerebbe finalizzata al riconoscimento giuridico di ogni tipo di convivenza, che verrebbe iscritta nei registri anagrafici di ogni comune e che comporterebbe l’acquisizione di taluni diritti e doveri a seconda della rispettiva durata della convivenza. In particolare, dopo tre anni, vengono riconosciuti i diritti e le tutele del lavoro (trasferimenti ed assegnazione di sede), oltre che la successione del contratto di locazione; dopo nove anni, sono riconosciuti i diritti di successione. Invece, alcuni diritti sono immediatamente fruibili già all’atto di legalizzazione della convivenza. Si tratta del diritto di ciascun convivente di designare l’altro quale suo rappresentante in caso di malattia (per quanto attiene alle decisioni in materia di salute) o in caso di morte (per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie), come del diritto del convivente straniero (comunitario e extracomunitario) che è già legalmente in Italia per altri motivi (ad es. turistici) di ottenere il permesso di soggiorno per convivenza.

Per il convivente, poi, si conferma la partecipazione agli utili derivanti da esercizio di impresa dell’altro convivente, come recentemente riconosciuto dalla giurisprudenza. La tassa di successione per il convivente superstite, invece, fissata attualmente all’8%, scenderebbe al 5%.

Per la materia dell’edilizia pubblica, invece, riservata alle regioni, non si specifica nulla, se non che gli enti competenti potranno tener conto delle convivenza. L’orientamento è quello di introdurre, a livello regionale, punti aggiuntivi nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi in favore delle coppie conviventi.

Allo stesso modo, nulla può specificarsi circa la materia previdenziale e pensionistica, essendo allo studio una (nuova) riforma radicale della materia.

L’impianto normativo ipotizzato non ci soddisfa affatto, anche a prescindere dalle riserve espresse dalla Chiesa Cattolica.

Infatti, i riconoscimenti giuridici in favore delle coppie di fatto rispetto a quelle legali, appartengono ormai alla comune coscienza civile e la giurisprudenza già da tempo, pacificamente, ne equipara diritti e doveri. La regolarizzazione normativa, dunque, si potrebbe facilmente ottenere con specifici interventi sul codice civile e sulle altre leggi già esistenti, senza, cioè, una normativa ad hoc che, peraltro, in più aspetti deve necessariamente rinviare alle competenze di regioni e provincie autonome. Inoltre, svariati aspetti della convivenza potrebbero ben essere affidati al “diritto volontario”, cioè alla possibilità che le persone interessate pattuiscano quanto di loro interesse (disposizione testamentarie, locazioni cointestate).

Sotto altro profilo, il legame familiare, derivante dal contratto matrimoniale, comporta, al pari dei vari diritti, anche una serie non trascurabili di doveri, che vanno ben oltre l’assistenza morale e materiale (fedeltà, collaborazione nell’interesse della famiglia, contribuzione ai bisogni della famiglia, mantenimento, istruzione ed educazione dei figli) e che la normativa che si vorrebbe approvare trascura completamente, con indebolimento soprattutto delle tutele in favore dei figli.

Si è trascurato, inoltre, come in tal modo si introdurrebbe un nuovo concetto di famiglia sicuramente diverso da quello tutelato dalla Costituzione Italiana (art. 29). Ugualmente si trascurano gli aspetti attinenti alla fase patologica del rapporto di coppia, con ulteriori complicazioni, anche di carattere interpretativo ed applicativo, sulle eventuali unioni successive o per i rischi di abuso, nel caso di una persona che dichiari la convivenza all’insaputa dell’altra persona coinvolta.

La problematica è importante e non può essere affrontata con la demagogia degli slogan o delle invettive, come se il tutto si risolvesse con uno scontro tra clericalismo e laicismo, o come se i diritti civili delle coppie conviventi siano oppressi da chissà quale oscurantismo, anche religioso.

Un interrogativo: ma perché mai le coppie che vogliano legarsi tra loro non dovrebbero continuare ad usare lo strumento già previsto? Perché mai, oltre alla convivenza legale (derivante dal contratto di matrimonio), si debba prevederne un’altra, ibrida? Si dimentica, cioè, che coloro i quali scelgono la mera convivenza, lo fanno perché consapevoli delle responsabilità e dei doveri che, invece, derivano dal contratto matrimoniale. Così, il dubbio è che si pretenda un riconoscimento pubblico della convivenza per ottenere diritti senza doveri.

Resta, allora, il convincimento che il tutto sia politicamente preordinato alla legalizzazione di unioni omosessuali, come peraltro esplicitamente richiesto ed ammesso dai principali rappresentanti del movimento degli omosessuali, alcuni anche presenti in Parlamento ed assidui frequentatori di dibattiti televisivi, dove sempre più spesso scorrono immagini del tutto offensive della dignità della persona umana e del buon gusto.

E a questo fortemente ci opponiamo. E confidiamo che quella che di chiama società civile, questa volta, piuttosto che recepire tali istanze, manifesti tutto il suo dissenso, così impedendone il recepimento in un testo legislativo.