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Agostino e le radici del primato della “legge d’amore”. | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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Agostino e le radici del primato della “legge d’amore”.

Agostino e le radici del primato della “legge d’amore”.


Ai giuristi cattolici è noto come Agostino, che nel suo primo periodo formativo studiò ciò che in tempi moderni chiamiamo “diritto”, abbia conferito un importante impulso alla dottrina del diritto naturale, ben diverso dalla visione del giusnaturalismo. Nei suoi scritti si trovano ampi riferimenti ai temi del diritto e dello Stato. Ben più che nel De civitate Dei, dove viene proposta l’alternativa tra il vivere secondo lo spirito ed il vivere secondo la carne, tratteggiandosi il senso della vita in un piano preordinato a condurre alla felicità eterna coloro che sposano la causa divina, cioè i membri della civitas Dei, nell’opera De spiritu et littera Agostino tratta la relazione tra le legge (la lettera che uccide) e lo spirito (la grazia che vivifica).

La dottrina cristiana del diritto naturale mostra molte convergenze con il pensiero dell’antichità classica. Già Platone riconosceva l’esistenza di un superiore ordine divino che sovrasta e definisce la morale attraverso la legge naturale della ragione, tanto da eludere la differenza tra l’obbedire “agli dei” o l’obbedire “alla parte immortale del nostro essere”. Appartiene a Platone la frase secondo cui nel mondo potrà trionfare la giustizia“…il giusto sarà flagellato, torturato, legato, e da ultimo impalato o crocifisso…”, frase che consentirà ad Agostino di affermare, nel De civitate Dei, che “…nessuno si è avvicinato a noi più di Platone…”.

Nel mondo romano, ancora estraneo alle conseguenze delle predicazioni di Gesù e dei suoi apostoli ed ancor meno agli studi dei Padri che rielaborarono il pensiero classico dominante alla luce delle novelle, Seneca affermava nelle sue Epistulae la presenza di Dio nell’intimo di ognuno: “Dio ti è vicino, è con te, dentro di te. Non si sa quale, ma un dio abita in ogni uomo virtuoso.” E fu Cicerone, da grande giureconsulto, ad affermare e trasmettere agli studiosi a lui successivi la dottrina stoica della legge naturale che si rinviene nella natura sociale e razionale dell’uomo. Ne parla nel De Legibus, precisando come vi sia una recta ratio communis che, presente negli uomini, li rende idonei costituire una repubblica universale del genere umano.

Mentre la legge naturale dei filosofi si presenta come un concetto astratto, invece lo ius naturale dei giuristi si presenta come concetto concreto, poiché per i giureconsulti vale la legge positiva, la lettera, la parola data. Invero, in ragione della diversa sensibilità culturale, nel mondo romano non si pone affatto il problema della legge ingiusta, tantomeno si percepisce la possibilità ad una legge non scritta, appello invece colto nel mondo greco. Ne rappresenta esempio letterario ancora oggi fonte di ampio dibattito l’appello di Antigone alle leggi non scritte degli dèi, rivendicando la superiorità di esse, presenti nella coscienza, rispetto alla legge ingiusta.

Con le nuove elaborazioni dei Padri, il Dio del pensiero classico, presente come natura, diventa trascendente e creatore. L’uomo non è più solo un essere razionale o politico, ma entità personale che reca l’impronta del divino che lo fa immagine di Dio. Viene così riconosciuta l’esistenza della legge naturale come presente nell’uomo.

Nella tradizione ebraico-cristiana il primato del “diritto” si radica nell’Essere: Dio è il legislatore massimo, la fonte e il principio ultimo dei comportamenti da assumere, l’artefice della giustizia. Con il cristianesimo, culmine della rivelazione divina, si rende palese ciò che sembrava presente solo nell’intimo. E l’antico patto fondato sulla legge mosaica muta radicalmente in un nuovo patto fondato sull’amore e che contiene anche i precetti fondamentali che l’uomo deve osservare sia nei rapporti con Dio, sia nei rapporti con il prossimo.

La novella evangelica assume un rilievo di assoluta importanza rispetto al “diritto”, con i molteplici riferimenti al giudizio, alla legge, al delitto, alla pena, alla giustizia, alla misericordia.

Nella riflessione di Agostino la legge naturale è impronta della vocazione divina dell’uomo, rimasta dopo la caduta di Adamo come un riflesso, in noi, della legge eterna di Dio. L’ordine morale, che è il presupposto della legge naturale, è anche il bene oggettivo che si presenta alla coscienza e che converte, in termini morali e giuridici, le verità della legge eterna: la ragione divina o volontà di Dio, la quale comanda che l’ordine naturale sia conservato e vieta che sia turbato, come Agostino precisa. 

Per l’Ipponate la sapienza di Dio sostituisce il fatum degli stoici, ordinando gli avvenimenti dell’universo. La legge eterna, come supremo principio ordinatore e regolatore delle coscienze, è “…quella legge che chiamiamo Ratio summa, a cui sempre si deve obbedire…”, come si afferma nel De libero arbitrio. Così, Agostino giunge a sostituire l’antica virtus con la caritas, con l’ordo amoris in grado di distinguere ciò che è fine da ciò che è mezzo, conseguendone come “…la vera e sintetica definizione della virtù è l’amore ordinato…”. E l’ordo amoris assume pienezza di significato nell’amore verso Dio, che non può non essere ordinato.

La legge naturale, allora, mutua la sua ragion d’essere dalla legge eterna, di cui è irradiazione. Nessuna altra legge potrà mai superare la legge naturale, che, scrive Agostino, è scritta nei cuori degli uomini. Al punto che la legge eterna è l’ordo ordinans del diritto naturale (ordo ordinatus), a sua volta ordo ordinans della legge positiva, talmente subordinata alla lex aeterna che se non si fonda sulla giustizia non è, propriamente parlando, una legge e non può obbligare in coscienza. “Se la legge non è giusta, è una legge nulla”, ammonisce Agostino. E chi osserva la legge eterna non ha bisogno della legge positiva o temporale, che costituisce solo un’appendice di completamento della legge naturale, prevista solo per il malvagio.

Ciò che prevede la legge naturale ha carattere originario e si appartiene alla stessa natura umana; non deriva da altro ordinamento se non quello posto dall’autore della natura, che ha impresso la legge interiore e razionale nella coscienza, in rapporto alla quale siamo in grado di giudicare se un’azione sia buona o cattiva. C’è una legge interiore, intima, impressa nel nostro cuore: non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te. Questa, conosciuta e resa famosa come la “regola aurea”, manifesta la negatività del dovere giuridico ed è – per Agostino – perfettamente in grado di “…illuminare tutti gli uomini, per la quale ciascuno sarà giudice per se stesso…”. Interiorità ed oggettività diventano, così, caratteristiche della legge naturale, con il ruolo della coscienza che la connota nel suo carattere di interiorità.

La verità stessa abita all’interno dell’uomo, che per non perdersi deve per l’appunto cercarla nella propria interiorità, dove essa si rivela. Non si tratta di una mera ascesi intellettuale, ma un completo e concreto ideale di vita verso l’unità di anima e di corpo, ideale cui tendere per riappropriarsi di sé. Alla domanda di Pilato, cosa è la verità, Agostino risponde affermando che la Verità è Dio stesso nel suo Lògos, cioè “…la parola eterna che è nel silenzio e creò il cielo e la terra…”. La verità non è la ragione, ma è la legge della ragione, il criterio di cui la ragione si serve per giudicare. E se la ragione è superiore alle cose di cui giudica, la legge in base alla quale essa giudica è superiore alla ragione. C’è, dunque, una legge più alta di ogni altra legge, che sfugge ad ogni giudizio umano, e in questa legge sta la vera autorità, essendo la verità stessa nella sua trascendenza. Nell’affermazione “…io sono la via, la verità e la vita…” Cristo svela sé stesso e risolve il problema della ragione pura e della ragione pratica. Senza Cristo l’uomo non riesce ad agire e a penetrare all’interno delle cose. Cristo apre l’uomo alla conoscenza e lo introduce nell’intimità stessa di Dio, presente nell’intimo. Se manca lo spirito vivificante, che infonde nell’anima l’amore di Dio, la lettera, cioè la legge presa per sé stessa, uccide, non essendo di per sé sufficiente a superare ed evitare ciò che è male.  

Solo la caritas perfecta, precisa Agostino, costituisce perfecta iustitia. E dove non c’è giustizia vera, non vi può essere neppure diritto. “Chi arriva a capire – scrive Agostino – che la giustizia non sta nel precetto della legge che intimorisce ma nell’aiuto della grazia di Cristo, e la grazia è l’unico termine a cui guida utilmente come pedagogo il timore della legge, costui capisce perché è cristiano…”. Non servono precetti e divieti: Cristo mette in risalto ciò che è essenziale nella condotta dell’uomo, cioè amare Dio e il prossimo. E questi sono i due comandamenti su cui poggia tutta la legge, mirabilmente sintetizzati da Paolo, secondo cui “…l’amore è il compimento della legge…” (Rom. 13, 10).

Nella visione di Agostino, Cristo non abroga la legge, ma la porta a compimento e la supera come via di salvezza: è necessario accettare la volontà di Dio come norma dell’agire umano. Poiché la legge di Dio è l’amore, nulla può farsi senza.

Siamo alle radici del primato della legge d’amore, l’unica in grado di guidare correttamente l’esistenza dell’homo viator nella quotidianità. Scoprirla in noi quale irradiazione naturale dell’Amore Superiore, facendone legge di vita, è il compito di ognuno.

(pubblicato nella rivista "Vivere In", 1/2023, pagg. 22- 24)

https://www.vivere.in/2023/04/rivista-vivere-in-n-1-2023/