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L'uomo e la città. Superare la confusione attraverso il "diritto". | Diritto | Eugenio Scagliusi

Eugenio Scagliusi

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L'uomo e la città. Superare la confusione attraverso il "diritto".

L'uomo e la città. Superare la confusione attraverso il "diritto".


Questo “tempo presente”, il periodo emergenziale che abbiamo vissuto ed ancora viviamo, è un fenomeno complesso dalle molteplici implicazioni umane. Alcune mi sembrano particolarmente rilevanti.

Una prima implicazione è costituita dal livello medico scientifico. È stato necessario concentrare sforzi importanti nello studio del virus in sé, del suo sviluppo, delle modalità di trasmissione e contagio. In maniera progressiva e complementare è stato necessario avviare la fase della individuazione, della sperimentazione e della produzione di un vaccino efficace. Quasi una corsa tra varie centri di ricerca, università, case farmaceutiche, anche a livello internazionale, nel tentativo di individuare una cura, con buona pace dei no vax, specialisti della disinformazione. 

A questo primo livello si è accompagnato, nella immediatezza, quello dettato dalle iniziative, umane, finalizzate al contenimento della diffusione della epidemia.

Sono state assunte iniziative economiche, anche con sospensione delle attività di impresa, con conseguenze che hanno comportato una grave crisi economica e del lavoro. A rimedio sono state assunte misure a sostegno delle imprese, delle istituzioni, del lavoro, delle famiglie.

Sono state assunte iniziative di distanziamento sociale che hanno comportato la chiusura di scuole, università, luoghi di aggregazione come parchi, palestre, chiese. Sono state sospese le attività sportive e ricreative, al pari di ogni attività del tempo libero.

Abbiamo familiarizzato soprattutto con una parola, lockdown. Poi ne sono giunte altre ed anche sul loro significato ci siamo interrogati: smart working, assembramento, congiunti.

A quella prima parola, lockdown, si è accompagnata un’altra implicazione di rilievo, quella più propriamente umano – sociale costituita dalle difficoltà soggettive, personali, intime, di ciascuno, piccoli e grandi, famiglie, lavoratori. Difficoltà a volte anche psicologiche; alcune manifestatesi subito, altre che probabilmente dovranno manifestarsi, anche a distanza di mesi da questo periodo. 

Siamo stati interessanti anche da un’altra implicazione, quella più propriamente demografica,costituita dall’incidenza del virus sull’andamento quantitativo della popolazione. Siamo stati tristemente costretti ad assistere alla quotidiana cruda elencazione del numeri dei morti.

Che strano. Non siamo mai pronti per l’evento morte, pur sempre possibile, in ogni momento. Meno che mai siamo pronti per un evento, morte, che sia di così grandi dimensioni e che colpisca indifferentemente tutti. Senza possibilità di reazione, rimedio, cautela, impedimento. 

Rispetto a queste grandi implicazioni del tempo, qualcuno ha dovuto assumere l’onere, gravoso – terribilmente gravoso – di disciplinare sia la fase del lockdown, la gestione della iniziale fase critica emergenziale, disponendo le limitazioni personali ed economiche nel Paese, sia quella della lenta ed anch’essa difficile ripresa: lo ha fatto la politica.

Occuparsi del tempo attraverso il diritto 

La politica opera attraverso il diritto.
In maniera quasi elementare, in questo periodo tutti abbiamo compreso quanto il diritto, il fenomeno giuridico, non sia astratto e riservato a pochi, ma concreto e comune ad ognuno. Tutti abbiamo conosciuto e familiarizzato con un’altra parola, una sigla, una sigla che agli inizi appariva quasi misteriosa: DPCM. Anche senza sapere cosa questa sigla volesse significare, senza comprenderne il significato tecnico, tantomeno la differenza tra DPCM, DM, DL, tutti abbiamo capito che le varie implicazioni di quel fenomeno – tutte – venivano fatti oggetto di disciplina, di norme, di regole, di disposizioni da rispettare.

Non è mio interesse entrare nel merito, né esprimere giudizi sulle scelte fatte. Osservo come si sia trattato indubbiamente di scelte difficili e dolorose. Ed osservo che, come purtroppo spesso accade, siamo tutti pronti a rivendicare diritti e libertà individuali, senza essere disposti a considerare diritti e libertà altrui. I pochi, poi, che predicano diritti e libertà condivise sono giudicati come extraterrestri provenienti ad un lontano sistema solare.

Sta di fatto che ci siamo divisi sulle chiusure come sulle riprese, tra cautele da utilizzare e voglia di evasione. E mentre abbiamo litigato su tutto, abbiamo trascurato l’aspetto, tragico, di una di quelle implicazioni individuate: la morte. Guardando il fenomeno da un’altra prospettiva, abbiamo trascurato la vita. Quel fenomeno così turbativo non mi pare abbia indotto ad apprezzare la vita, la sua strenua difesa, la preminenza della sua valorizzazione.

Se questo è il fenomeno del tempo presente, ognuno dovrebbe interrogarsi sul cosa fare per andare oltre, per superare la confusione generatasi. Che è confusione umana, esistenziale, sociale, economica. Se volessi riassumere la mia opinione con una frase breve, uno slogan, che risponda al come superare la morte, direi proprio cautelando la vita.

È mia opinione che esista un filo che regge e collega i vari aspetti della vita storica. È una opinione che parte da lontano. Trae origine dalla riflessione sul ruolo della politica quale attività umana tra le più nobili e che, occupandosi della vita, occorre nobilitare. Anche attraverso un impegno diretto, concreto, operativo. Affido a questa nostra comune riflessione l’ulteriore gradino di questa riflessione: il diritto. Perché è anche mia opinione che quel filo, quello che rende unitaria la vita e la politica, sia costituito proprio dal diritto. Meglio, dallo strumento dell’esperienza giuridica, espressiva di una più immediata consapevolezza delle dimensioni umane e del carattere essenzialmente problematico del fenomeno giuridico.

Come evitare la confusione

Occorre provare ad individuare le soluzioni per evitare questa confusione, che è confusione umana, esistenziale, sociale, economica. Lo strumento da utilizzare che offro alla vostra riflessione è il corretto apprezzamento del valore e del ruolo del diritto.

1) Sperimentare la fatica per costruire la storia.

Quasi a premessa, è necessario fare di questo terribile fenomeno che la storia ci presenta un caso di pedagogia, farne un vero e proprio strumento didattico.
Abbiamo bisogno di istruirci, formarci, educarci da questo fenomeno. Questo fenomeno deve indurci a scorgere nuove prospettive, elaborare nuove dinamiche, credere in nuove dimensioni di socialità.

L’aver sperimentato la fatica della storia, ci aiuta a prenderne coscienza.
Con maggiore consapevolezza, serve che ciascuno creda nella realtà che ogni propria azione rappresenti il proprio personale contributo alla costruzione, pur lenta e spesso dolorosa, del mondo umano della storia.

A chi compete, la fatica della storia, questa sua costruzione, anche se lenta e dolorosa, se non a noi?

2) L’azione, cammino di speranza.

Mai come in questo momento occorre calarsi nell’azione, nell’attività pratica nella quale ognuno di noi vive, ognuno secondo le proprie competenze ed esperienze, superando la paura, lo scoramento, la disaffezione, il facile e comodo “chi me lo fa fare”, il mero pensare a salvare la pelle. Occorre un impeto di nuova morale che entri a guidare le nostre azioni, rendendole comuni e solidali. Perché nessuno si salva da solo.

La missione di vita, vero destino di ogni soggetto, si realizza nell’esperienza pratica, che è svolgimento e movimento della vita verso un fine assoluto. L’esperienza pratica, quella che si svolge quotidianamente, coincide con la vita, cioè con l’attività umana nella sua concretezza: in una parola, con la storia, la storia che viaggia verso quel fine assoluto.

Si supera la fatica, la morte, valorizzando la vita ed il suo sviluppo storico verso la sua aspirazione più profonda, verso il cammino della speranza.

3) Il ruolo dello Stato e del diritto.

Che ci piaccia o no, chi svolge questo ruolo di occuparsi della vita è lo Stato. È la politica. È il diritto. Lo Stato è comunità. Teniamolo bene a mente. Anche quando lo critichiamo. Lo Stato opera attraverso il diritto, che costituisce il mezzo, lo strumento attuativo di ciò che politicamente scegliamo. Ciò che scegliamo come comunità, diventa diritto. È il diritto, attraverso la nostra azione, che guida e regola la storia.

Sul nascere, alle origini, c’è la scelta di ogni individuo, che solo successivamente può assurgere a scelta comune. La mia scelta, intima, personale, la mia azione, è importante e fondamentale. Al pari di quella di ogni altro. Solo l’esperienza comune, il viaggiare insieme, il percorso che la vita ci riserva, supera l’individuo e assurge a livello superiore. L’esperienza comune, diventa esperienza giuridica.

4) Il diritto come valore.

Questo diritto non è qualcosa fuori da me. Non è roba riservata a tecnici, a giuristi. Forse appare così, ma non lo è. Ciò che acquisisce il valore di vita giuridica è, in realtà, spontaneità sociale.

Se una sfida deve riguardarci è quella di elaborare una proposta sociale che assurga e diventi giuridicamente rilevante. Una proposta qualificata in grado di superare la crisi.

La vera crisi è quella di un mondo, di una vita, senza diritto, senza ordine giuridico. E siamo noi che costituiamo e formiamo il diritto.

Il diritto è, essenzialmente, azione dominata da valori. In mancanza di valori – quali che siano quelli di riferimento – il diritto, qualunque esso sia, è incomprensibile ed irragionevole. Non lo capiamo. Non ce lo spieghiamo. Non lo condividiamo. Lo contestiamo in ogni sua previsione. Prima vengono i valori, poi il diritto. Abbiamo bisogno di scegliere valori. Abbiamo bisogno di interrogarci su quale modello di vita scegliere. Scegliere è fondamentale per indirizzare il diritto.

Certo, il percorso è complicato. Perché richiede uno sforzo, politico, di scelte, enorme.

5) Quale diritto.

Mi chiedo spesso se vi sia proprio bisogno di regole, se ve ne sia un bisogno assoluto. Soprattutto quando mi trovo davanti ad elencazioni particolarmente dettagliate.
Mi chiedo anche spesso se questa idea della partecipazione attiva alla costruzione del mondo storico costituisca mera speculazione. Non mi pare sia così. Mi permetto di ritenere, semplificando per maggior chiarezza, che chi lo pensi sia tra quelli che parlano male del proprio Condominio, ma che puntualmente ne disertino le assemblee.
L’assemblea della vita va presenziata, partecipata, animata.

È mia opinione che ciò che serva sia, prima ancora di una qualche regola tecnico – giuridica, una profonda riforma morale.

Conclusione. La costruzione della storia attraverso il diritto.

La vita procede. Con essa, procede la storia. Non si può non contribuire alla lenta, dolorosa, faticosa costruzione del mondo umano della storia, mondo fatto agli uomini per gli uomini, rispettando l’uomo ed il diritto che si trova custodito nella intimità, radicato nelle profonde esigenze spirituali di ogni uomo. Il diritto è l’individuo nella pienezza della sua personalità. Esiste una profonda identità: la persona è il diritto.

Ad ognuno compete promuovere il tentativo di tradurre in realtà pratica questa legge profonda che il soggetto, l’umanità nel suo complesso, già porta in se stessa, intima e segreta. Questa legge sovrana è la speranza, la speranza nell’Infinito.

La catastrofe del tempo presente, allora, come ogni altra, finisce con l’indicare la direzione, il principio di azione, la prima legge etica: la responsabilità dell’individuo nella sorte del mondo. Oggi dobbiamo guardare alla catastrofe come la prima pagina del nuovo capitolo della storia.

Nella drammaticità, si scorge l’aurora della storia, il primo bagliore, il primo filo in cui ognuno di noi, singolo individuo, nuovamente si attiva, spontaneamente si muove, energicamente agisce per vivere (sopravvivere), aprendosi a nuove possibilità, aprendosi alla speranza, aprendosi al trascendente.

È nostro compito, dopo la catastrofe, nella situazione di massimo disagio, valorizzare la produttività dell’agire, scegliere la operosità, cercare ed attivare i semina veri, quei semi del logos motori della storia. Ognuno di noi porta in sé la responsabilità stessa della salvezza del mondo.

Siamo chiamati, oggi più che mai, nella catastrofe, a produrre diritto, esperienza giuridica, ad essere presenti e determinati nella costruzione della storia. E se lo strumento attuativo è la politica, bene, significa che anche il provare ad assumersi in proprio le responsabilità della candidatura, di scegliere di competere al momento elettorale, non può non interessarci. 

- intervento al Convegno "Il tempo presente e il coraggio della speranza" organizzato da "Vivere In", 30.05.2020
- pubblicato integralmente nella rivista bimestrale "Vivere In", 3 - 2020, pagg. 39 - 43

https://www.vivere.in/2020/07/rivista-vivere-in-n-32019-2-2-2-2/